IL FRIULI VENEZIA GIULIA
E LA GRANDE GUERRA
9-10 DICEMBRE 1917: FORZAMENTO DEL PORTO DI TRIESTE
ED AFFONDAMENTO DELLA CORAZZATA AUSTRO-UNGARICA “WIEN”
Dopo avere arrestato, il 16 novembre, l'offensiva nemica a Cortellazzo, impedendo così ai tedeschi e agli austriaci di arrivare a Venezia e di vincere, sull'onda di Caporetto, la guerra europea, la Regia Marina italiana torna all'offensiva, proseguendo la propria tradizionale strategia con in più, questa volta, la precisa intenzione di sottolineare agli occhi di tutti la volontà di riscossa del Regno.
Già il 18 novembre una squadriglia di cacciatorpediniere, composta da Audace, Abba, Ardente e Animoso batte le trincee austriache presso Revedoli con 600 colpi di cannone da 102mm.
L'azione, che solleva l'entusiasmo delle truppe italiane e le ire dei generali asburgici, viene rinnovatail giorno dopo dai caccia Stocco, Orsini, Sirtori e Ardito, che tirano 100 colpi per pezzo contro le linee nemiche tra Revedoli e Caorle; il 20 novembre è il turno delle postazioni avversarie presso Grisolera. Detto obiettivo viene nuovamente attaccato il 23, questa volta da ben 8 cacciatorpediniere.
La reazione nemica, affidata alle batterie costiere e agli aerei, si rivela inefficace.
Inoltre, il 25 novembre le cannoniere Capitano Sauro e Folgore - due ex mercantili asburgici catturati nel 1915 - risalgono addirittura il Piave per 5 chilometri, cannoneggiando e mitragliando a uno a uno tutti i capisaldi austriaci avvistati.
Allo scopo di appoggiare dal mare l'avanzata del proprio Esercito, la marina austro-ungarica aveva trasferito a Trieste le corazzate Wien e Budapest. Queste navi da battaglia vengono danneggiate entrambe il 16 novembre, davanti a Cortellazzo, dal preciso tiro della batteria costiera da 152 mm comandata dal Tenente di vascello Bruno Bordigioni; benché costrette a ritirarsi dal successivo intervento delle unità navali italiane, continuano comunque a rappresentare, a tutti gli effetti, una costante potenziale minaccia per il fronte a mare italiano sul Piave.
La notte fra il 9 e il 10 dicembre 1917 i MAS 9 (comandante il Tenente di ascello Luigi Rizzo, ideatore sin dalla primavera di quell'impresa, lungamente studiata) e 13 (Capo timoniere 1^ cl. Andrea Ferrarini) salpano da Venezia, sotto la scorta delle torpediniere 9PN e 11PN.
Dopo quasi due ore di duro e silenzioso taglio, a mano, dei cavi delle ostruzioni, i due MAS penetrano nel Vallone di Muggia, navigando lentamente e senza rumore sui motori elettrici. Dopo un'ultima ricognizione, destinata a confermare la mancanza di reti parasiluri nel bacino portuale, i MAS lanciano a distanza ravvicinata.
Il Wien, colpito a centro nave, affonda in pochi minuti. La reazione avversaria non impedisce alle piccole siluranti di uscire da quel porto e di rientrare, indenni, alla base.
L'affondamento di questa corazzata è il primo grande successo italiano sul mare della Grande Guerra e IV Guerra d’Indipendenza, conseguito dopo anni di sforzi tenaci.
L'azione, ben pianificata, viene abilmente comunicata e valorizzata in modo da sottolineare l'inversione di tendenza della Nazione dopo quasi due mesi di crisi. Ideatore e convinto sostenitore, sin dal 1915, della strategia della “battaglia in porto” è l'Ammiraglio Paolo Thaon di Revel, Capo di Stato Maggiore della Marina nel 1915 e nuovamente nel 1917-19.
Sempre in prima linea, il futuro Grande Ammiraglio si dimostra costantemente aperto alle nuove idee, dall'aviazione navale ai sommergibili fino ai MAS e ai treni armati, e incoraggia l'iniziativa dei propri marinai, non esitando a verificare di persona la “scena” dei forzamenti dei porti avversari, come quando una notte del settembre 1917, si spinge a bordo di un motoscafo a poche centinaia di metri dalle ostruzioni triestine nel corso della redazione finale del piano di Rizzo.
LA VENEZIA GIULIA NEL REGNO D'ITALIA
A partire dai primi giorni di novembre del 1918 Trieste, l’Istria ed il Goriziano furono occupati dalle truppe italiane. Per l’amministrazione dei nuovi territori venne inizialmente costituito un Governatorato Militare per la Venezia Giulia di stanza a Trieste con a capo il generale Carlo Petitti di Roreto, che aveva guidato i primi reparti italiani entrati in città. Nel luglio del 1919 (dopo la stipula del trattato di Saint-Germain) all’amministrazione militare seguì quella civile, gestita dal Commissariato Generale Civile della Venezia Giulia, il cui primo commissario fu Augusto Ciuffelli, sostituito poi, nel dicembre 1919, da Antonio Mosconi, che rimase in carica fino al 1922. Presso la Presidenza del Consiglio venne istituito un Ufficio Centrale per le Nuove Province.
L’esercito italiano aveva occupato non solo i territori del vecchio Litorale austriaco (la città di Trieste, la Contea principesca di Gorizia e Gradisca, l’Istria) ma anche la Valcanale (in un primo momento arrivando fino a Villaco) ed alcune località già appartenenti alla Carniola (Idria, Vipacco, Postumia e Longatico) arrivando oltre la linea dello spartiacque. In un primo momento anche la Dalmazia costiera era stata occupata.
Nel 1920, con il Trattato di Rapallo, si fissò la linea definitiva di confine tra Italia e Regno SHS.
Mentre oltre questa linea si andava organizzando il nuovo Stato jugoslavo, divennero sudditi del Regno d’Italia poco meno di mezzo milione tra sloveni e croati, che si videro cost negata la possibilità di far parte del nuovo Stato in cui avrebbero potuto più facilmente riconoscersi.
Fino al 1923 l’amministrazione provinciale, pur priva di organismi elettivi, ricalcò quella austriaca: una provincia a Trieste, una a Gorizia, una nell’Istria; in Dalmazia solo la città di Zara con poche isole divenne italiana. Ma nel 1923 venne soppressa la provincia di Gorizia e i suoi territori divisi tra quelle di Trieste e del Friuli, tra le proteste dei fascisti locali. Nel 1924 si aggiunse anche Fiume come capoluogo provinciale. Anche se ormai le province erano svuotate di ogni funzione di rappresentanza politica.
Alla guida delle amministrazioni comunali le autorità italiane cercarono di porre personale spesso locale ma di provata fiducia; le nuove amministra-zioni comunali elette nel 1922 non ebbero poi vita lunga, a causa del mutato indirizzo dello Stato.
Nel frattempo, in Italia il governo guidato da Benito Mussolini stava rapidamente procedendo alla trasformazione dello Stato, eliminando in pochi anni tutte le strutture rappresentative elettive e riducendo progressivamente le libertà di associazione.
Il nuovo Stato fascista non ammetteva opposizione politica e si poneva come compattamente nazionale. Per le popolazioni di lingua slovena e croata la situazione non fu certamente facile. Erano passate da un contesto sovranazionale, che pur con molte incertezze ed imprecisioni tutto sommato garantiva un certo equilibrio tra le varie componenti, ad uno nazionale, dove i non italiani erano indicati come “allogeni” (ovvero di altra stirpe) da trasformare in autentici italiani, attraverso processi che vennero definiti di “snazionalizzazione”.
Se nei primi momenti del dopoguerra da parte del-lo Stato non vennero intraprese misure precise ed organiche in tal senso, il governo fascista iniziò in seguito ad attuare una politica di marcata assimilazione nazionale. Con la riforma Gentile venne negata l’esistenza di una scuola non in lingua italiana (le ultime classi completarono il proprio ciclo con il 1927), i nomi delle località vennero italianizzati e poi vennero italianizzati anche i cognomi. Non era possibile una stampa libera, e tantomeno in lingua non italiana; solo all’interno della Chiesa ci fu per sloveni e croati, pur con fatica, una certa libertà di pubblico utilizzo della propria lingua.
Il panorama politico/istituzionale era profondamente cambiato, soprattutto in alcune aree come il Friuli Orientale. La classe dirigente liberal-nazionale lo-cale ottenne un sostanziale appoggio da parte delle nuove autorità italiane, come elemento di fiducia per la costruzione del nuovo ordine; invece il partito cattolico non riuscì a ricostituirsi nelle forme prebelliche, sia per le difficoltà nel rientro dei parroci (che di quel partito erano di solito organizzatori vivaci) sia per l’ostracismo di cui i due principali leader, Giuseppe Bugatto e Luigi Faidutti, furono oggetto. L’ex capitano provinciale Faidutti non poté più rimettere piede a Gorizia e finì i suoi giorni quale incaricato d’affari della Santa Sede presso il governo lituano.
Le difficili condizioni della ripresa economica favorirono nell’immediato dopoguerra la crescita del Partito Socialista e poi, dal 1921, di quello Comunista. Nelle prime elezioni parlamentari, quelle del 1921, proprio il Partito Comunista d’Italia ottenne nella Venezia Giulia il miglior risultato a livello nazionale. Nella circoscrizione di Gorizia vennero eletti quattro deputati sloveni e un comunista.
Le nuove autorità si videro davanti al pericolo di una deriva rivoluzionaria e alla necessità di rendere omogenee queste terre al resto del Regno. La violenta azione dello squadrismo fascista fu quindi lasciata libera se non sostenuta anche da funzionari dello Stato (come Mosconi) che vi vedevano, nonostante gli evidenti eccessi, uno strumento per riportare l’ordine e per favorire il processo di italianizzazione.
CONFINE ORIENTALE DEL REGNO D'ITALIA.