ENRICO TOTI STORIA E LEGGENDA


Enrico Toti (Roma20 agosto 1882 – Monfalcone6 agosto 1916) fu un patriota italiano che combatté nelle fila dei Bersaglieri, durante la Prima guerra mondiale, da soldato irregolare, poiché non arruolabile in quanto privo di una gamba, persa durante la sua attività di meccanico ferroviere; nonostante la menomazione, partecipò a varie azioni militari, in una delle quali trovò la morte a 33 anni.


Fiumi d'inchiostro hanno scritto, in varie epoche e con diversi accenti, le vicende incredibili che hanno delineato la vita di Enrico Toti.

Matto, scavezzacollo, insubordinato, irruento, sanguigno, testardo, visionario, patriota ecc. è stato oggetto di svariati commenti ed etichette spesso ingiuste e non sempre comunque corrette.

Sicuramente era un precursore nei modi e negli atteggiamenti di chi si ritrovò a fare i conti con una menomazione e con la voglia di vivere una vita il più possibile normale, senza dover sottostare all'emarginazione sociale.

Teniamo conto che stiamo parlando di un periodo a cavallo tra '800 e '900.

Nasce a Roma nel 1882. A quindici anni si imbarca su una nave come mozzo, Nel 1905 viene assunto come fuochista presso le Ferrovie dello Stato.
Il 27 marzo 1908 è mansionato a lavori di manutenzione su una locomotiva nella stazione di Colleferro, dove scivolando finisce con la gamba sinistra sotto gli ingranaggi del mezzo. 

Viene trasferito in ospedale dove sono costretti ad amputargli la gamba all'altezza del bacino.
Sicuramente una menomazione di tale importanza avrebbe potuto causare un tracollo nell'esistenza di chiunque in quel periodo, specie per chi non poteva più sostenere un lavoro fisico e non era scolarizzato.

Ma Enrico era un giovane caparbio e proprio in seguito a quell'incidente moltiplicò la sua voglia di fare e di dimostrare di essere comunque in grado di compiere qualsiasi cosa, insomma di essere normale.
Nel 1911, dopo aver scoperto l'uso della bicicletta, decide di partire per un viaggio attraverso l’Europa con una bici da lui modificata per le sue esigenze. L'itinerario prevedeva: Francia, Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia, Russia e Polonia, per poi fare ritorno in Italia l’anno successivo, nel 1912.
Pochi mesi dopo riparte. Destinazione Africa.
Egitto e Sudan dove viene fermato dalle autorità inglesi occupanti e, verificate le sue intenzioni ritenute troppo pericolose, visto che voleva addentrarsi in zone dove erano ancora presenti tribù di tagliatori di teste, fu rispedito a casa via Cairo, quindi Roma.

1915, l'Italia entra in guerra.


Enrico Toti vuole fare la sua parte e tenta di arruolarsi. Naturalmente la sua richiesta viene respinta.
A questo punto parte da solo con la sua bicicletta arrivando a Cervignano del Friuli, dove finalmente riesce a farsi inserire in un distaccamento destinato a servizi non attivi. Veste da militare ed indossa una sciarpetta per non far notare che non porta le mostrine.

Questo però non gli impedisce di recarsi spesso in prima linea, dove viene prontamente rispedito indietro sino a quando non viene fatto rientrare a Roma. Qui si scatena la sua indole battagliera e bussa a tutte le porte possibili per riuscire a farsi accettare come combattente. Scrive una lettera al Duca D’Aosta, comandante della III Armata.

Questo un passo: “Le giuro che ho del fegato e qualunque impresa la più difficile se mi venisse ordinata la eseguirei senza indugio”

Nel febbraio del 1916 viene finalmente destinato a Monfalcone ed affidato, non senza apprensione e contrarietrà, dal Mag.re Rizzo al Tenente Bolzon, che lo prende sotto la sua ala.
Eccolo quindi in trincea nel settore Cave di Selz, dove per la sua indole e risolutezza rimedia subito due ferite.

In seguito viene aggregato al 3° battaglione Bersaglieri ciclisti, nel settore del VII Corpo d’Armata del generale Tettoni. 

“Posso compiere il mio dovere e sono soddisfattissimo” scrive alla sorella, finalmente soldato tra i soldati, non più emarginato, si sente integrato ed accolto da pari inoltre può fregiarsi delle stellette.

Il 6 agosto del 1916, durante la battaglia dell’Isonzo, il 3°, il 4° e l’11° Bersaglieri sono spostati a quota 85 a est di Monfalcone per l’attacco a Gorizia. Nel corso di questo attacco Toti, ormai ferito a morte, avrebbe lanciato la sua stampella contro il nemico pronunciando la celebre frase “Nun moro io!“.

Il bersagliere fu portato nelle retrovie e quindi sepolto con tutti gli onori nel cimitero di Monfalcone.

 

Nel 1922 fu trasferito a Roma durante un viaggio dove ricevette, nelle varie città dove fu fatta fermare, gli onori di migliaia di persone.

Il 24 maggio, all’arrivo a Roma, fu esposta nella camera ardente allestita nel Museo Storico dei Bersaglieri prima di essere tumulata nel Cimitero Verano. 

Le circostanze del fatto non sono mai state chiarite completamente.

Certo è che il regime nel dopoguerra esaltò la figura del combattente con la stampella a scopi propagandistici, ma è anche vero che l'uomo di per se rimane un eroe a prescindere.

Capace di riprendere in mano la propria vita dopo la dura esperienza della pesante menomazione è riuscito con perseveranza e caparbietà a ricostruire la propria esistenza mettendola poi alla fine a disposizione della propria Nazione.

 

Enrico Toti, l'uomo e il mito L'eroe mutilato cento anni dopo - Corriere.it

Cimitero Monumentale del Verano in Roma

Nell’agosto 1916 Toti viene seppellito a Monfalcone, città che, come tutto il Friuli, cade nelle mani degli austro-ungarici dopo la disfatta subita dalle forze italiane a Caporetto nell’ottobre 1917.

La figura di Enrico è così impressa nell’immaginario patriottico che il duca d’Aosta si richiama proprio a lui nel messaggio alle truppe del 1° gennaio 1918, evocando la sua «gelida e disadorna tomba sul Carso» sulla quale, proclama, «dovrà brillare ancora il sole della vittoria».

L’auspicio si avvera con Vittorio Veneto e, terminato il conflitto, viene deciso di dare a Toti una sepoltura più solenne: nel maggio 1922 la salma del mutilato viene portata a Roma e traslata nel cimitero del Verano con tutti gli onori.

Ma il deflusso del corteo funebre, cui partecipano le squadre fasciste della capitale e altre venute da fuori, dà luogo a gravi disordini, con l’uso di armi da fuoco, nel quartiere «rosso» di San Lorenzo, roccaforte dei partiti di sinistra.

Seguono tre giorni di scontri: il bilancio è di quattro morti e una cinquantina di feriti.


G. de Angelis-Curits, Enrico Toti, centenario della morte - www.cdsconlus.it

Medaglia d'oro al valor militare - nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro al valor militare
  «Volontario, quantunque privo della gamba sinistra, dopo aver reso importanti servizi nei fatti d'arme dell'aprile a quota 70 (est di Selz), il 6 agosto, nel combattimento che condusse all'occupazione di quota 85 (est di Monfalcone). Lanciavasi arditamente sulla trincea nemica, continuando a combattere con ardore, quantunque già due volte ferito. Colpito a morte da un terzo proiettile, con esaltazione eroica lanciava al nemico la gruccia e spirava baciando il piumetto, con stoicismo degno di quell'anima altamente italiana.[10]»
— Monfalcone, 6 agosto 1916.

Il lavoro di Fabi consente di approfondire parzialmente la figura di Toti e di renderla più realistica rispetto al personaggio bidimensionale inventato dalla propaganda.                                                                   Si tratta però in gran parte di congetture, e difficilmente a un secolo dalla sua morte potremo conoscere meglio altri aspetti della vita e della personalità di Toti. Quello che conosciamo con maggiore dettaglio è l’episodio in cui fu ucciso.                                                                                                                                              Il suo commilitone, Ulderico Piferi, raccontò in diverse interviste cosa accadde a Toti subito prima di morire.

In pieno giorno superammo lo sbarramento nemico allo scoperto. Alle quindici circa del 6 agosto 1916 arrivammo a quota 85 (appena fuori Monfalcone, prima del fiume Lisert, in località Sablici). Venne subito l’ordine d’avanzare ed Enrico era tra i primi. Aveva percorso 50 metri quando una prima pallottola lo raggiunse. M’avvicinai mentre eravamo entrambi allo scoperto. Non ne volle sapere di ripararsi. Continuava a gettare bombe, e per far questo si doveva alzare da terra. Fu così che si prese una seconda pallottola al petto. Pensai che fosse morto. Mi feci sotto tirandolo per una gamba ma questi scalciò. Improvvisamente si risollevò sul busto e afferrata la gruccia la scagliò verso il nemico. Una pallottola, questa volta l’ultima, lo colpì in fronte

 

Stando al racconto di Piferi, Toti non si trovava sul ciglio della trincea avversaria, come nell’illustrazione della Domenica del Corriere, ma più lontano, visto che cercava di lanciare bombe a mano verso il nemico. Sembra anche che Toti avrebbe potuto salvarsi, se avesse voluto.                          Piferi disse però che Toti decise di rimanere esposto al fuoco nemico, anche se dal racconto non si capisce la ragione tattica della scelta. Alla fine l’ultima pallottola lo colpì alla testa, uccidendolo.                                   Il sorriso prima di morire e la frase “Ma nun moio io!” sono tutti gesti impossibili per qualcuno che ha ricevuto in testa uno dei grossi proiettili sparati dai fucili dell’epoca.                                                                  Per quanto riguarda l’altro gesto celebrato dalla propaganda, il bacio alla piuma dell’elmo, Piferi raccontò in un’intervista data nel 1965, mezzo secolo dopo i fatti: «Quando mi sono avvicinato ho visto che aveva la bocca poggiata sull’elmetto, e mi ha dato l’impressione che stesse baciandolo».


Bollettino di Guerra 1915-1918

Ad ottobre, la Domenica del Corriere pubblicò un’illustrazione dell’episodio, piuttosto fantasiosa, realizzata da Achille Beltrame. L’immagine divenne il simbolo del gesto eroico compiuto da Toti.

Bollettino di Guerra 1915-1918

Intervista alla pronipote di Enrico Toti, cicloviaggiatore ed eroe | Life in Travel


Toti, il primo campione paralimpico della storia, - La Gazzetta dello Sport

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