COMMEMORAZIONI PER IL 60° ANNIVERSARIO

DEL DISASTRO DEL VAJONT

Il disastro del Vajont si verificò la sera del 9 ottobre 1963, nel neo-bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont nell'omonima valle (al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto), quando una frana precipitò dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino alpino realizzato con l'omonima diga; la conseguente tracimazione dell'acqua contenuta nell'invaso, con effetto di dilavamento delle sponde del lago, coinvolse prima Erto e Casso, paesi vicini alla riva del lago dopo la costruzione della diga, mentre il superamento della diga da parte dell'onda generata provocò l'inondazione e distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone, e la morte di 1.917 persone, tra cui 487 bambini e adolescenti[2].

Le cause della tragedia, dopo numerosi dibattiti, processi e opere di letteratura, furono ricondotte ai progettisti e dirigenti della SADE, ente gestore dell'opera fino alla nazionalizzazione, i quali occultarono la non idoneità dei versanti del bacino, a rischio idrogeologico.

Dopo la costruzione della diga si scoprì infatti che i versanti avevano caratteristiche morfologiche (incoerenza e fragilità) tali da non renderli adatti ad essere lambiti da un serbatoio idroelettrico.

Nel corso degli anni l'ente gestore e i suoi dirigenti, pur essendo a conoscenza della pericolosità, anche se supposta inferiore a quella effettivamente rivelatasi, coprirono con dolo i dati a loro disposizione, con il beneplacito di vari enti a carattere locale e nazionale, dai piccoli comuni interessati fino al Ministero dei lavori pubblici.

9 ottobre 1963: il disastro minuto per minuto

 

  • ore 9:00 Numerosi segnali di frana. Il livello dell'acqua viene lentamente abbassato.
  • ore 12:00 Sul monte Toc appaiono le prime crepe, che si allargano in poche ore.
  • ore 17:00 I carabinieri dispongono il blocco del traffico verso il lago del Vajont.
  • ore 22:00 Il monte Toc comincia a cedere. Sulla diga c'è preoccupazione
  • ore 22:39 Un fortissimo boato e subito dopo un black out accompagnano la frana.
  • ore 22:40 Un' enorme onda, pari a circa un terzo del lago, s'innalza fino a 250 metri.
  • ore 22:41 Gli abitanti di Longarone sentono il boato e pensano che sia crollata la diga.
  • ore 22:43 La gigantesca bomba d'acqua piomba su Longarone e lo distrugge.

RICORDI DI FANGO

La notte del 9 ottobre 1963 un'enorme massa di acqua e fango melma si riverso violentemente nella valle distruggendo tutto cibo che trovò sul suo percorso, radendo al suolo interi abitati e provocando circa 2.000 vittime.

Tra quanti parteciparono alle operazioni di soccorso, i militari dell'Esercito Italiano svolsero un ruolo di primaria importanza a sostegno della popolazione.

All'iniziale intervento della Brigata Alpina "Cadore", giunta tra i primi soccorritori, si alternarono migliaia di militari appartenenti alle varie armi e specialità che per 38 giorni scavarono nel fango, anche a mani nude, per estrarre le vittime e parteciparono, successivamente, alla riorganizzazione

del territorio.

Tra questi primi soccorritori vi erano anche i nostri reparti

in armi Reggimento Bersaglieri di Pordenone guidati
da due giovani Ufficiali, oggi Generali in quiescenza, Benito Pochesci e Vezio Vicini.

Riteniamo che il detto "Li dove gemono i dolori, accorrono i Bersaglieri", oltre a ricordare le Vittime della tragedia, la circostanza costituisce anche opportunità per dare visibilità alla nostra Protezione Civile con una concomitante adunata dei nostri Nuclei sparsi lunge la penisola con attività di simulazione.

 

Ecco quindi che l'Associazione Nazionale Bersaglieri, attraversoso le proprie componenti ope­rative, si propone di divulgare la logica della prevenzione e del servizio volontario come risposta alle emergenze.

 

Inoltre una "Staffetta della Solidarietà" costituita da Bersaglieri podisti che, con un "testimone" creato da artisti locali, unire virtualmente le località di Vajont, Erto Casso con Longarone.

NeIla notte del nove ottobre 1963 venni svegliato dall'ufficiale di picchetto della caserma Martell/ di Pordenone per una convocazione urgente del colonnello comandante Diego Vicini. Ricevetti l'ordine di preparare la compagnia e di partire quanto prima alla volta di Longarone, dove si era verificata un'alluvione provocata dalla diga del Vajont, senza dettagli ulteriori.

Avvisai immediatamente gli ufficiali e sottufficiali e andai personalmente a svegliare i bersaglieri.

Erano ancora praticamente in mutande, tra sbadigli, stiramenti e qualche mugugno, spiegai lord con le poche informazioni di cui disponevo quello che ci aspettava.

Raccomandai in particolare di portare lo zainetto tattico pronto di quanta necessario per esigenze operative fuori sede, e dotato di ogni attrezzo speciale che consentiva sia di scavare che di spalare.

 Recuperammo anche pale e picconi in dotazione alla compagnia. Ovviamente senza dimenticare la borraccia, la gavetta, ii gavettino e le posate.

L'undicesima compagnia fu pronta in meno di un'ora, trattandosi di bersaglieri anziani in terzo ciclo e quindi con elevate prontezza operativa. La colonna composta di ACM e ACL si avvio con in testa Ia A.R. con radio del comandante di compagnia.

Arrivati ai piedi della valle, a causa dell'interruzione della viabilità, fummo costretti a scendere dagli automezzi e a proseguire a piedi in file indiana alla luce di un paio di torce.

 Cominciava ad albeggiare quando arrivammo finalmente in cima a Longarone, o piuttosto quel che ne rimaneva: un paesaggio lunare... Un maresciallo dei carabinieri mi informa sommariamente di quanta era accaduto, e mi resi canto di non sapere esattamente cosa fare.

Diedi comunque disposizione ai miei bersaglieri di SCAVARE con l’Oro modesto attrezzo laddove a affiorava un materasso, un lenzuolo, un cuscino, un mobile...

 E i bersaglieri scavarono, anche con le mani, trovando solo cadaveri/ turnefatti e gonfi d'acqua.

Non ritrovammo nessuno in vita.

Arrivarono poi volontari, altri militari, medici / e infermiere della Croce Rossa ai quel ci rivolgevamo ogni qualvolta veniva rinvenuto un corpo, e carabinieri che evitavano episodi di sciacallaggio ed ai quali i miei bersaglieri consegnavano gli oggetti di valore, i preziosi e volute straniere.

Nessuno ha pensato in quelle condizioni di utilizzare le razioni K, ma solo la borraccia. Dopo questa lunge e penosa giornata tornammo indietro e la colonna si diresse verso Belluno dove trovammo una sistemazione alto stadia e, finalmente, potemmo consumare un rancio caldo portato con le casse di cottura dal Ten. Vezio Vicini, mio vicecomandante, dal M.Ilo D'Ascoli e dal Serg. Mag. Serrone.

Rimanemmo ancore una decina di giorni sul luogo del disastro e, malgrado non vi fossero più speranze di ritrovare superstiti, continuammo a scavare intensamente.

Venimmo infine sostituiti do un'altra compagnia di bersaglieri del OTTAVO, ricevendo net frattempo una visita di sostegno del Gen. Curio Ciglieri, comandante del IV° C.A. Alpino. In queste tragiche circostanze, ho potuto valutare non solo it valore e l'Abnegazione di questi ragazzi di leva, ma anche il l'ora spessore civico e umano.

 Mai un lamenti, mai una parole fuori luogo, e probabilmente qualche preghiera sussurrata.

Rientrati in sede, nessuno aveva voglia di parlare.

Personalmente mi sentivo scosso, e qualche notte rivivevo quell'incubo.

Aggiungo un aneddoto. Per misurare rimpatto che questo tragici evento suscita, ricordo di avere spedito una cartolina di Longarone scritta a matita alla mia fidanzata Michele, mia futura consorte, che viveva a Parigi. La cartolina senza francobollo arriva a destinazione senza nessuna tassa ne do parte delle poste italiane ne di quelle francesi.

Molti anni dopo, durante la mia presidenza nazionale dell' ANB, fu con-cessa la cittadinanza onoraria di Longarone alla bandiera di guerra dell'OTTAVO reggimento quale riconoscimento alto operazione di soccorso effettuata do soldati italiani.

Desidero infine rivolge-re tutta la mkt gratitudine al bersagliere Ernesto Scaramuzza, il quote ho creato un piccolo gruppo di "reduci" del Vajont della il Compagnia per tramandare il ricordo.


ALIMENTARE LA MEMORIA 

NEL SEGNO DEL RICORDO

La "Staffetta Cremisi della Solidarietà" nel suo percorso di testimonianza per le vittime della tragedia dell'ottobre 1963, si prefigge anche l'originale scopo di unire tra lora, in un unico progetto di memoria, le Comunità, maggiormente coinvolte, simbolo della catastrofe: Vajont, Erto-Casso e Longarone.

 

Per ricordare questo evento, nel corso di singole cerimonie di suffragio, presso ciascuna delle tre località, sarà posta una targa bronzea quale tributo di memoria da parte di tutti i Bersaglieri che, dal pordenonese, furono i primi a giungere nei luoghi del disastro e portare la loro generosa opera di soccorso e supporto alle popolazioni.

La Targa, realizzata dal Maestro Marco Zuzzi, al centro riporta la dedica per tutte le vittime mentre, ai lati, sono riprodotti i loghi dell'Associazione Nazionale Bersaglieri e quello del 60° anniversario della tragedia raffigurante la gola dove, ancora oggi, insiste il manufatto della diga.

Un segno semplice come semplice vuole essere il rispetto di noi bersaglieri nel ricordo di questa ferita.