8° E 11° BATTAGLIONE BERSAGLIERI CICLISTI 


NOTE STORICHE:
 
 I fatti che videro protagonisti nelle giornate del 20 e 21 Luglio 1915 l' 8° e 11° Battaglione Bersaglieri Ciclisti unitamente ai fanti della Brigata Regina , riguardano l'assalto che portò alla prima volta dall'inizio della guerra  reparti italiani a conquistare  le quote del Monte San Michele, la narrazione che segue è tratta dal Libro di Renzo Dalmazzo "I Bersaglieri nella Grande Guerra".
Nonostante la retorica dell'epoca , il libro è fonte interessante di una descrizione molto dettagliata dei fatti che videro protagonisti i  bersaglieri dei due battaglioni ciclisti:
SAN MICHELE 
 
Nella seconda quindicina, di luglio, la 3a Armata riprende le operazioni per il possesso dell'altipiano carsico.
Ia 21a Divisione agisce contro il monte S. Michele, la cui cima non è stata ancora raggiunta da alcuno.
La sera del 18, mentre le batterie italiane rovesciano sul monte tonnellate di ferro, 1' e 11°ciclisti giunge alla filanda di Sdraussina.
Dopo due giorni di preparazione di artiglieria, inizio dell'attacco.
Dovrebbe avanzare da q. 170, verso la cresta, il 100 fanteria, coadiuvato dal 9° in direzione di q. 197 (nord di S. Martino)
e seguito dall'11° ciclisti : uno dei più vigorosi germogli del reggimento di Fara e di Mussolini.
Ma, per il fuoco nemico di tutte le armi, proveniente dal S. Michele e da Bosco Cappuccio, e per la ferita che inette fuori combattimento il comandante del 10°, la fanteria è fatta ripiegare, a notte alta , giunge all'1l° battaglione  bersaglieri l'ordine di portare a fondo l'attacco.
Un battaglione contro una montagna! E, allo spuntar del giorno, i primi esploratori precipitano da, q. 170 nell'insellatura antistante, per riconoscere il terreno che il reparto dovrà, percorrere nell'assalto:
Sono le 13 quando le cinquecento "anime perse" divallano per il butterato pendìo, allo scoperto sotto il tiro mortale del trincerone austriaco avanzato.
Si sosta per qualche tempo in fonde o al vallone, ove radi sono i tratti al sicuro dal tiro d'infilata; si ripiglia fiato, si riordinano i reparti, sono soccorsi i feriti.
Fra i quali, il capitano Sifola e l'aiutante maggiore :
tenente Aurelio Padovani, il predestinato animatore, alfiere e martire del fascismo campano.
Da Bosco Cappuccio arriva, intanto un fuoco d'inferno.
Altre vittime. In tutti è l'impazienza e di giungere a capo dell'obiettivo.
Ecco il fischio stridulo di « papà Ceccherini ». L'avanti è dato ; in un trionfo di sole, ripiglia la, corsa alla mèta.
« Per vie non calpestate e solo» , il battaglione avanza.
Sorpresi da tanta furia, i difensori della trincea bassa o si dànno a fuga precipitosa verso l'alto o, come intontiti, alzano le mani : Kamarad!
Si prosegue. Va innanzi il più forte : Ceccherini.
Squadrato e rude come un marinaio, egli stringe nella destra un randello, con la sinistra la « gorgogliosa la pipa-talismano.
Dall'alto le mitragliatrici sgranano lunghe filiere di piombo su bersaglieri e prigionieri, mentre le artiglierie italiane, per interdire ai difensori ogni via di salvezza, improvvisano un sipario di fuoco alle spalle della posizione.
Feriti sono il capitano Lambert, il tenente Mochi e il sottotenente Ghinelli colpiti gravemente, il tenernte Vannutelli e il sottotenente (domini che spireranno, pochi giorni dopo; fulminato il sottotenente Pedani.
Pure, i bersaglieri riescono a portarsi in prossimità della cresta tuttora tenuta dal costante valore del 3° Honved.
E poichè una superstite mitragliatrice impedisce l'ultimo balzo, i più arditi tentano di metterla a tacere.
Il sottotenente Canoni riceve una pallottola in testa ; un bersagliere è colpito alla gola; senza un gemito s'accascia vicino al suo colonnello il bersagliere Montanelli.
L'attendente  amoroso e fedele che aveva voluto far scudo del suo corpo al  superiore esposto al tiro della mitragliatrice.
La  diabolica innaffiatrice seguita senza posa.
Alcuni bersaglieri, diavoli scatenati, aggirano terra terra l'appostamento, e, dopo viva lotta a  colpi di pietra e di baionetta, uccidono i serventi  s'impadroniscono dell'arma. Via libera. Ultimo balzo.
 Un plotone rimasto senza ufficiale è trascinato all'assalto dal baffuto tenente medico Rellini, un reduce di Sciara Sciat,  il quale fa anche da aiutante maggiore e da mitragliere.
L'olocausto continua. Il bersagliere D' Ambrogio che, con singolare valore, ha toccato fra i  primi la vetta, ha una gamba fracassata da una se grossa scheggia di una pallottola passa il cuore del  sottotenente D'Ajello. 
Finalmente, dopo quattro ore, il prodigio è i compiuto. La balza del monte è soggiogata.
E tale è la veemenza, che reparti interi di Austriaci rimangono preda. Nel declinante sole, perseguitati dal e tiro della propria artiglierie. « 1600 prigionieri calan giù verso le retrovie — scrive il generale Ceccherini — mentre le vecchie piume mandano l'entusiastico saluto a Trieste bella, che dal mare sembra stendere le braccia in un invito d'amore ».
Contemplazione breve! Il grido di allegrezza.
Alto, risonante, è appena lanciato verso la città  divina, che la furia demolitrice delle batterie nemiche comincia, e, per taluni il saluto a Trieste è di addio alla vita.
Il cielo e già gremito di stelle, quando 11° ciclisti che sente il peso della lotta è raggiunto  dai reparti del 10° e del 29° fanteria, e dall'8° Ciclisti proveniente da Bosco Capuccio.
Sotto il tiro rabbioso e concentrato di ogni calibro, sono intensificati i lavori ;
l'8° battaglione è posto di rincalzo immediato della fanteria e qualche nucleo è spinto in ricognizione.
Sul duro sasso già solcato e crivellato da mine, gravine, proiettili, al bagliore sinistro delle vampe e al pallido riflesso della luna, gli uomini d'assalto, trasformatisi in artieri, tentano di consolidare la nuova fronte, servendosi anche dei sacchetti che, carponi, vanno racimolando dai tascapani dei caduti.
Notte di terrore. Le posizioni di cresta sono un solo rogo; tutti gli scoppi, un boato solo.
Coni di schegge schizzano contro le carni; uomini e sacchetti sì ripiegano sventrati ;
i feriti si trascinano gemendo dietro ripari improvvisati e spuntoni di roccia;
agonizzanti invocano « un sorso d'acqua prima di morire » ;
morti, colpiti e dilaniati ancóra due e tre volte.
Sereno come un nume, tenero come un padre, Sante Ceccherini cerca e bacia i suoi ufficiali morti e feriti; nei superstiti infonde calma, forza, fervore.
Lo sgombro dei colpiti è difficile ; cessato, non si sa perchè, l'arrivo di rinforzi e riforniménti. Il nemico non si vede si sente.
Egli va addensandosi nell'ombra, e guata e preme.
La situazione si rende insostenibile.
L'urlo delle artiglierie macera i nervi.
Eppure, Ceccherini non ha che una consegna.: « Si muore tutti qui : non si ritorna giù.
Sotto il tiro rabbioso e concentrato di ogni calibro, sono intensificati i lavori ; l'8° battaglione è posto di rincalzo immediato della fanteria e qualche nucleo è spinto in ricognizione.
Sul duro sasso già solcato e crivellato da mine, gravine, proiettili, al bagliore sinistro delle vampe e al pallido riflesso della luna, gli uomini d'assalto, trasformatisi in artieri, tentano di consolidare la nuova fronte, servendosi anche dei sacchetti che, carponi, vanno racimolando dai tascapani dei caduti.
Notte di terrore. Le posizioni di cresta sono un solo rogo; tutti gli scoppi, un boato solo.
Coni di schegge schizzano contro e le carni; nomini e sacchetti sì ripiegano sventrati ;
i feriti si trascinano gemendo dietro ripari improvvisati e spuntoni di roccia;
agonizzanti invocano « un sorso d'acqua prima di morire » ;
morti, colpiti e dilaniati ancóra due e tre volte.
Sereno come un nume, tenero come un padre, Sante Ceccherini cerca e bacia i suoi ufficiali morti e feriti; nei superstiti infonde calma, forza, fervore.
Lo sgombro dei colpiti è difficile ; cessato, non si sa perchè, l'arrivo di rinforzi e riforniménti.
Il nemico non si vede si sente. Egli va addensandosi nell'ombra, e guata e preme.
La situazione si rende insostenibile. L'urlo delle artiglierie macera i nervi.
Eppure, Ceccherini non ha che una consegna.
Si muore tutti qui : non si ritorna giù.
Alle quattro del 21, quando i vivi son meno dei morti, rinforzi nemici provenienti da Gorizia pronunciano sulla sinistra un attacco.
Da prima è un'ombra, poi ,un'altra. Una fucilata, poi altre ancora, e scariche secche di mitragliatrici.
A sinistra, dove la minaccia, di accerchiamento è più sentita, la fanteria ripiega.
Sulla cima perduta già risuonano spari e grida di trionfo.
L'8° ciclisti, tutto in linea, preceduto dal suo comandante, maggiore Battinelli, scatta come un sol uomo verso l'alto, gridando a baionetta spianata: Savoia.
La, sorpresa del contrassalto così repentina che il nemico, il quale ha, già messo piede sul cocuzzolo, dopo poche scariche di mitragliatrici e di fucileria, fugge e sparisce. A destra, dov'è l'11° battaglione bersaglieri, una parola corre : Pronti. Folgorano le baionette.
L'aspro fischietto di Ceccherini supera ogni sibilo; l'urlo dell'assalto, ogni resistenza.
Le schiere nemiche si arrestano, si disgregano, si disperdono.
Dopo mezz'ora, battaglioni compatti si mostra no ancóra sulla sinistra ed anche al centro.
Le nostre armi fanno strage. Intanto che la cerchia si restringe si dà fondo alle cartucce e alle bombe.
Il bersagliere Martin, che ha, visto cadere tutti i serventi di una mitragliatrice, quantunque ferito, si porta sulla linea di fuoco e ridà voce all'arma incandescente, finchè cade mortalmente colpito.
Ora si tira con le stesse mitragliatrici austriache : con quelle catturate — gesto fulmineo, mano sicura —da Tollis e Brunelli e Piro e Poveromo. Altre colonne affluiscono da tutt' intorno. Sono Ungheresi : le più superbe truppe dell'Impero.
Una brigata di Honved, reduce dal fronte galiziano.
La lotta si riaccende atroce, disperata : uno contro venti.
Le schiere si mischiano e nell'alternazione della, lotta un altro, ufficiale è perduto : Silvio Ciaprini.
Dell'11° ciclisti non restano in piedi che cinque la fficiali : il comandante, il tenente medico e i Subalterni Della, Martina, Rizzo e Peano.
Un colpo d'onda sta per raggiungere 1' e 8°battaglione.
Ma, bersaglieri, ancóra una volta si abbattono a ferro freddo sugli assalitori, i quali, terrorizzati, nuovamente si sbandano e s'involano.
Per ben tre volte lo stremato battaglione ributta il nemico, ed è nell'accanimento sanguinoso di queste alternative che si va allontanando vieppiù dalla posizione, rimanendo quasi isolato sulla seconda gobba del monte.Di questo stato di cose profittano gli Ungheresi che ora volgono, riorganizzati e risoluti, contro che reparti.
I quali, proiettati in avanti e di-luiti in una catena di gruppi che vanno dissolvendosi nel sangue, non sanno più come arginare l'avvolgente marea.
L'8° è senza comandante. Il maggiore Battinelli, che durante gli attacchi avversari aveva dimostrato sommo valore e perspicacia, impedendo da sinistra l'aggiramento che t'avrebbe potuto avere gravi conseguenze, steso al suolo da una ferita orrenda, si rifiuta di abbandonare i suoi bersaglieri e non vuole soccorsi.
Il sergente Ferrari che tenta di trasportarlo al sicuro, cade ferito egli stesso e mescola il suo sangue cori quello del comandante.
Lo strenuo Battinelli morirà due mesi più tardi, a Lubiana, con tutti gli onori.
Lo sostituisce sul campo il capitano Zamboni, ufficiale ammirabile per iniziativa e coraggio.
Gli uomini cadono a mucchi. Non si contano più. Il tenente Bonaccordi, benché ferito, continua a dirigere con calma e serenità il tiro dell'unica mitragliatrice, finché colpito a morte non s'irrigidisce accanto all'arma;
il tenente Cavallo, mortalmente ferito, giace in un tratto avanzatissimo ed esposto. Noncurante del pericolo, il caporale allievo ufficiale Valvassori cerca di porlo in salvo.
Ferito ad un braccio, non desiste e, facendosi aiutare da un bersagliere, lo trasporta a spalla per lungo tratto.
Un barilotto  scoppia, vicino all'eroico gruppo.
Tenente e bersagliere sono uccisi sul colpo ; l'allievo ufficiale, gravemente ferito da scheggia all'addome, Si abbatte svenuto.
Ì sopravvissuti, un pugno di prodi, non sostenuti da soccorsi, presi da tre lati, schiacciati dal numero, ricevono l'ordine di ripiegare.
A gruppi, trasportando qualche ferito, ancóra sparando e minacciando, resti dei due battaglioni bersaglieri abbandonano la cruenta conquista.
« In ultima fila vi è una delle mitragliatrici prese al nemico, con sette uomini e un sottotenente. Quando l'esigua colonna, sfuggendo all'aggiramento, è arrivata sulla linea di difesa, non resta più sulla cresta che la retroguardia, composta del sottotenente e di un bersagliere, che continuano a manovrare la mitragliatrice in un'arma austriaca che potrebbero abbandonare.
Ma non, così la pensa il bersagliere. Ci si è ormai affezionato e se la carica sulle spalle e ne va via col tenente ».
I primi Magiari che spuntano sulla cima sono accolti da una foga di cannonate. Scompaiono. Non resta sul terreno che un mucchio di cadaveri. E, per un momento, sulla cresta del « terribile monte » che reca il nome dell'Arcangelo della milizia celeste, non regna che la morte.
Quanto si potrebbe dire delle mirabili prove di ardire e di abnegazione date dai ciclisti su quella tragica vetta « Si potrebbe dire del bersagliere Francioso che visto colpito il suo tenente e ricevuto l'ordine di ripiegare vi si rifiuta, continuando a sparare in piedi sull'estrema trincea conquistata, gridando a voce spiegata di voler vendicare il suo ufficiale;
trascinato a forza sino a Sdraussina egli scompariva dal battaglione.
Ritornava dopo due giorni,spingendosi avanti, come cose sue, due soldati e un cadetto prigonieri.
Era stato ancóra all'assalto con la fanteria, si era battuto come un leone mentre il suo battaglione era al meritato riposo e tornava lacero, pesto, sanguinante, ma fiero di aver vendicato il suo ufficiale.
Si potrebbe dire del sardo Curcubitta che, ferito orrendamente alla bocca, ai compagni incontrati mentre lo trasportano via, non potendo parlare, a gesti ed a cenni indica loro la strada per an-dare a combattere, a vendicare lui e i molti altri caduti.
Nella bufera di fuoco, è come assorbito e scompare Francescoo Rismondo.
Spose da pochi mesi, il volontario spalatino era fuggito in Italia e si era arruolato nelle schiere piumate : 8° ciclisti.
Ai primi di luglio, la sua giovane compagna lo ritrova a Palmanova " rumorosamente lieto al bivacco, tutto preso della, nuova vita, tutto infervorato per i rischi imminenti ". Ella capisce che non è più suo.
La patria, la guerra, il piumetto hanno vinto su lei. Quando, dopo l'epica lotta, gli scampati da more rimontano in sella e, laceri, sfiniti, bendati, pedalando con una gamba o sostenendosi sulla spalla del compagno o recando le macchine dei caduti a mano e a dorso, vanno a ritemprarsi. a Romans, fra essi il Rismondo non è più.
Guidando una pattuglia, era stato visto lanciarsi contro un gruppo e cadere ferito.
La sua morte gloriosa mentre, sfuggendo alla, prigionia tenta di raggiungere le nostre fanterie avanzanti sul Carso, fa sì che, svelato il mistero della sua fine, una fronda di palma cinge la fronte di questo nuovo martire di spontanea offerta. 
Dopo il combattimento, un generale e un tenente cercano del tenente colonnello Ceccherini.
Il generale reca l'elogio di S. M. il Re che da Villesse aveva assistito al rapido volo e alla caparbia, resistenza.
Il tenente Riccardo Gigante è latore, per incarico di S. A. R. il Duca d'Aosta, di un ordine del giorno del nemico, nel quale si esortano le truppe imperiali a « imitare i bersaglieri del S. Michele e quel colonnello che, alla testa dei suoi prodi, è stato visto precederli nello sterminio ».
Il Governo francese, poi, nell'insignire il colonnello Ceccherini della legion d'onore, diramerà alle sue Armate un proclama del Maresciallo Pétain : « ufficiale fra i più mirabili, in varie occasioni ha dato prove di magnifiche virtù militari ed ha tenuto alte le più supèrbe tradizioni del Corpo dei bersaglieri ».
All'11° battaglione, che nella sovrumana impresa ha perso 13 su 18 ufficiali, e tre quinti dei graduati, è conferita la medaglia d'argento ;
all'8° ciclisti, che ha perduto 13 ufficiali e 297 gregari, una di bronzo. 
 
Lo scritto sopra ha descritto le gesta  dei due battaglioni bersaglieri impiegati nell'assalto alle cime del Monte San Michele il 20 e 21 Luglio 1915.
Questi stando al diario della 21^ Divisione venivano ritirati dal fronte alle ore 12.40 del 21 luglio, e avviati a Romans per riordinarsi. Lo stesso non citerà nelle due giornate della battaglia,  i due battaglioni,  se non in questo frangente.
Essi in totale subiranno la perdita in morti di 133 uomini tra ufficiali e subalterni. 
 
Le cime del Monte San Michele ora non rispecchiano come le videro allora in quei due giorni i bersaglieri dei due battaglioni, trasformate già nei mesi successivi, da entrambi gli eserciti, successivamente dopo la guerra sia dalla vegetazione e dalla "Zona Sacra che ha avuto come conseguenza la costruzione di un museo e altre opere  che ricordavano i fatti .
Ora chi vistita queste cime non potrà mai avere una visione vera di com'era allora di come gli occhi di quei soldati in quei giorni di luglio del 15 videro quelle cime.
Ora il museo con tanto di sala multimediale seppur innovativa e lodevole come iniziativa, ma lontano dal vero significato di quello che era realmente quella guerra, sentieri cementati per rendere più agibile l'accesso, ma che li hanno resi delle piste ciclabili da gara, e altri lavori, hanno reso il luogo poco consono per certi versi a quello che è e dovrebbe rappresentare nel ricordo del sacrificio di chi allora versò il proprio sangue su quei luoghi.
Il tempo passa , tutto cambia, in meglio o in peggio non lo sò.
Ad ognuno lascio il proprio pensiero.