Luigi Sbaiz (Muzzana del Turgnano, 1918 – Pianoro, 21 aprile 1945) è stato un militare italiano distintosi nella seconda guerra mondiale.
Fu richiamato alle armi il 5 aprile 1939[1] presso il 3º Reggimento bersaglieri.
Nel 1940 partecipò alla Battaglia delle Alpi Occidentali contro la Francia, mentre nell'aprile dell'anno successivo venne impiegato nell'Invasione della Jugoslavia. Rimpatriato poco tempo dopo, venne integrato nel Corpo di spedizione italiano in Russia.
Si distinse nella battaglia ma nel 1942 venne rimpatriato a causa di un congelamento ai piedi.
Trasferito nel LXXV battaglione bersaglieri Ciclisti di stanza in Sardegna, tornò sul continente dopo l'armistizio per unirsi, col grado di sergente, al Battaglione bersaglieri Goito del Corpo Italiano di Liberazione, la forza armata italiana che combatteva a fianco degli alleati.
Il 19 aprile 1945 a Poggio Scanno, presso Bologna, mentre guidava un'unità di Arditi, venne ferito gravemente a una gamba.
Nonostante la gravità della situazione chiese a un compagno di amputargli l'arto ferito e contemporaneamente agitava il piumetto incitando i suoi.
Il 21 aprile, mentre i suoi commilitoni bersaglieri entravano per primi nella Bologna appena liberata, Luigi Sbaiz spirava all'ospedale da campo.
All'eroico bersagliere sono stati intitolati una piazza ed una scuola elementare nel suo paese natale, una via ad Udine e una caserma a Visco (Battaglione Logistico Pozzuolo del Friuli).
A Luigi Sbaiz hanno intitolato una Scuola elementare nel paese natale;
ad Udine gli hanno dedicato una via e fino al 1996, portava il nome del valoroso bersagliere una caserma di Visco (Ud).
Medaglia d'oro al valor militare | |
«All’inizio di un attacco contro una munita posizione nemica, rimaneva ferito ad una gamba. Con sereno stoicismo, mentre cercava di riordinare la sua squadra, estraeva il pugnale, e dopo averlo tentato egli stesso, ordinava ad un bersagliere, accorsogli vicino, di recidergli l’arto maciullato. Sfuggito a chi lo voleva soccorrere, strisciando sul terreno sotto il rinnovantesi tiro di artiglieria, ricuperava il proprio piumetto e, dopo averlo baciato, lo agitava rincuorando con nobili e serene parole i bersaglieri di altri reparti che stavano per scattare anch’essi all’attacco. Sfinito per la perdita del sangue, consentiva di essere trasportato al posto di medicazione solo dopo aver raccomandato i propri uomini al comandante di battaglione. Il gesto leggendario, compiuto in un momento in cui la strage prodotta dal fuoco nemico era stata fulminea, è stato per tutti i bersaglieri il fulcro della leva che permise e rese brillante il proseguimento dell’azione.
Prossimo a morire, perfettamente cosciente del proprio stato, dopo avere sopportato due successivi atti operatori con stoica fierezza, tanto da suscitare l’ammirazione dei
sanitari, chiedeva di non essere separato dal suo piumetto, simbolo per lui, di tutta la sua nobile vita di soldato.» |