47A DIVISONE BERSAGLIERI
1a battaglia dell'Isonzo o della Bainsizza 18 agosto-12 settembre (Vigilia di Caporetto)
Non si era ancora spento il fragore delle armi della 10a offensiva che già circolavano nei comandi quelli dell' 11a = conquista degli altopiani di Comeno e Tarnova (nord).
Nel settore della 2a armata operava ora una divisione bersaglieri la 47a al comando di Gustavo Fara.
La componevano la 1a brigata (6-12° Bersaglieri) del Col. Brigadiere Leoncini Adolfo,
la 5a (4-21° Bersaglieri) del Col. Brigadiere Giuseppe Boriani e la Brigata Elba 261° e 262° Fanteria. A sud contro la linea Flondar Castagnevizza le brigate 2a (7-11° Bersaglieri verranno inviati in Cadore al termine dell'offensiva) e 3a (17-18° Bersaglieri) Ceccherini.
Se nella prima offensiva si doveva alleggerire la pressione su Gorizia, qui, sempre di spalla si doveva favorire la conquista dell'altopiano della Bainsizza.
Le finalità di queste operazioni sono sempre quelle: correggere "lievemente" la linea del fuoco, risultato prevalente, non poter tenere le zone conquistate per l'impossibilità di costruire nuove linee di difesa e per l'impraticabilità di girare quando in loco le trincee nemiche che hanno una ben precisa costruzione volta al nemico e non alle retrovie.
Nessuna manovrabilità, iniziativa o affondo in caso di successo e per lo sfruttamento del successo che sarebbe stato terminale per il nostro nemico che non aveva più nulla da opporci in profondità.
In questo caso il sistema delle sturmtruppen loro (o commandos ) ci avrebbero altamente favorito.
La nostra struttura era però in formazione e solo dopo Caporetto potrà essere utilizzata pienamente. Canale d'Isonzo e tutte le teste di ponte oltre il fiume erano ora però stabilmente in mani italiane.
Sempre più spesso quando si facevano prigionieri si trovavano nei pressi del fronte numerosi civili apparentemente addetti ai lavori agricoli.
I soldati che combattono in abiti civili sono passibili di fucilazione e per esperienza i civili da entrambe la parti venivano allontanati o deportati.
Si scoprirà tra breve quanto l'utilizzo di locali che parlavano bene italiano, avesse già influenzato o influisse sul corso della guerra.
Sul Carso i bersaglieri trovarono gli austriaci attestati in grotte costruite per tempo e in tranquillità, mentre noi avevamo il solito problema dell'acqua e del terreno scoperto.
Tale problema esplose in tutta la sua gravità quando in un settore venne impiegata una divisione di Cavalleria.
I cavalli a differenza degli uomini si rifiutarono di proseguire se non abbeverati.
Le quote 220 e 244 obiettivo dei bersaglieri furono raggiunte a prezzo di grandi sacrifici (circa il 40% fra morti e feriti).
Erano tempi magri, ci si preparava a passare un'altro pesante inverno di guerra con tutte le conseguenze che ne derivavano.
La larga dorsale dell’Hermada, che si estende verso quello che fu definito “l’inferno di Doberdò”, sbarrava la via agli italiani, che per raggiungere Trieste sacrificarono nel corso delle varie battaglie innumerevoli divisioni.
Basti pensare che nella sola 11a battaglia dell’Isonzo, combattuta tra Tolmino e il mare, ossia su un fronte di 36 km, le perdite italiane ammontarono a 18.974 morti, 89.173 feriti e 35.187 dispersi (compresi i prigionieri) per un totale di 143.174 uomini, mentre quelle austriache furono sensibilmente inferiori e quantificate in circa 110.000 uomini, e tutto questo nel corso di un’offensiva durata soltanto 10 giorni.
La IIIa armata disponeva per l’attacco di ben 6 C.d.A, di cui il XIII° C.d’A. (gen. Sailer) nella zona di Monfalcone e del monte Hermada disponeva delle seguenti
unità:
- 33a Div. di fanteria: brigate (brt). Mantova e Padova;
- 28a Div. di fanteria (magg. gen. Parola): IIa
brigata Bersaglieri 7° (VIII-X- XLIV° ) e 11° (XXXIX°- XXXIII° - XXVII)
reggimento e brt. Murge;
- 34a Divisione di fanteria: brt. Salerno e Catanzaro;
- 45a Divisione di fanteria, a disposizione d'armata nella zona di Villa Vicentina: brt. Toscana e Arezzo
- Alle dirette dipendenze del XIII° Corpo d’armata: XXVIIIa brt. di marcia, I° gruppo sqn. cav. Piemonte Reale.
Il 18 agosto iniziò l’azione dell’11a battaglia dell’Isonzo.
Il monte Hermada fu assegnato al XIII°.
Secondo i piani la sua conquista prevedeva un’azione da svolgersi in due tempi: dapprima occupazione delle q. 247, 208, 199, 165 e dell’abitato di Duino; quindi avvolgimento da sud del bastione montuoso.
Alle ore 5 e 33 minuti il XIII° Corpo d’Armata assaltò la posizione Flondar.
Nel giro di pochi minuti l’intero altipiano carsico si trasformò nuovamente in un inferno.
Ovunque gli avversari si incunearono nelle opposte posizioni.
Dalla Punta Sdobba pesanti cannoni da marina italiani colpivano inesorabilmente il settore meridionale del fronte: l’Hermada e le vie di comunicazione.
Il 19 gli italiani attaccarono l’Hermada; il XIII° C.d’A si portò sotto Medeazza e alle porte di San Giovanni di Duino.
Gli austriaci si difesero accanitamente e fino a sera gli attacchi non cessarono.
Reggimenti su reggimenti di fanti si lanciarono contro la posizione del Flondar, lottando con rabbiosa tenacia per pochi metri di terreno fra i due tunnel ferroviari di S. Giovanni.. A q. 146/147, un punto oggi del confine italo-slavo, gli austriaci riuscirono in parte a resistere.
La Brigata Murge ricevette l’ordine di spostarsi gradualmente in avanti su quota 100 per occupare le trincee presidiate dalla IIa Brigata bersaglieri che si spostò su q. 130.
Il 259° conquistò la quota 145, ma la posizione presa dal fuoco d’infilata dovette
essere abbandonata. I fanti della Brigata Murge ripiegarono su q. 130 rafforzandola.
La IIa Brigata bersaglieri iniziò l’azione, un nutrito tiro nemico e un incendio sui rovesci di quota 100
provocarono molte perdite, venne ferito anche il comandante del 7° .
Il batt XXXIII°/11° conquistò q. 130 e proseguì su q. 145; il batt. X/7 si impadronì del Flondar e concorse all’attacco di q. 145; il VIII° e XXXIX° batt. inviati di rincalzo per sostenere l’azione furono obbligati dal fuoco nemico a sostare su quota 130; mentre il X° e XLIV° furono costretti a ripiegare.
Nel pomeriggio l’11° Reggimento rinforzato da un battaglione della Murge rinnovò l’attacco.
All’alba del 20 agosto gli italiani rinnovarono gli attacchi.
Nel terreno antistante l’Hermada il combattimento divampò feroce tra le linee difensive.
All’urto italiano gli austriaci risposero con un arretramento che a tratti raggiunse i 2 km.
Così descrive questi attacchi la Relazione Ufficiale austriaca: “gli italiani attaccarono con il coraggio della disperazione… ed invero essi non lasciarono intentata alcun mezzo per ottenere il loro scopo…”.
Alle 8 di mattino del 20 agosto Cadorna memore dei fatti di maggio/giugno interviene dando istruzioni di proseguire l’azione solamente qualora si profilino concreti successi.
L’azione contro l’Hermada continuò però per tutto il giorno e la mattina del giorno successivo !!.
Il terreno conquistato quel giorno dagli italiani si rivelò di modeste proporzioni; fatta eccezione per il settore meridionale l’attacco italiano si era bloccato.
Le tre divisioni impiegate per il raggiungimento di questo obiettivo riuscirono ad ottenere risultati positivi nella zona del Flondar, con l’occupazione del villaggio di Medeazza, ma furono quasi subito annullati da violenti contrattacchi nemici; la linea italiana si attestò, quindi, ad un centinaio di metri dall’abitato di San Giovanni di Duino.
Il 21 agosto le truppe
italiane furono di nuovo all’attacco.
Il generale Cadorna, recatosi alle ore 16 al comando della IIIa Armata sul monte S. Michele, ordinò di sospendere la battaglia, ma nonostante le precise istruzioni
la necessità di operare il consolidamento delle posizioni raggiunte fece proseguire i combattimenti.
Alle ore 22.00 il Comando Supremo considerò conclusa la prima fase dell’offensiva.
Il giorno seguente (22 agosto) gli attacchi italiani verso l’Hermada non cessarono !!, ma la difficoltà di mantenere il fronte raggiunto si manifestò in modo preoccupante.
Si effettuarono ancora attacchi locali per consolidare le posizioni raggiunte soprattutto sull’altura di Flondar davanti all’Hermada dove i reiterati tentativi di stabilirsi definitivamente fallirono uno dopo l’altro.
La sera del 23 agosto il fuoco dell’artiglieria cessò d’improvviso.
La Brigata Murge aveva perso 44 ufficiali e 1.612 uomini. La IIa Brigata bersaglieri 37 ufficiali e 2.500 uomini.
In due offensive l'organico si era
dimezzato
Lo scrittore Fritz Weber, allora comandante di una batteria
schierata sull’Hermada ha scritto, riferendosi all’11a battaglia dell’Isonzo, che la visione dei battaglioni decimati che tornavano dalla battaglia faceva sorgere nel cuore un desiderio di pace
ben più forte e genuino di quello invocato da scrittori antimilitaristi o da retori sentimentali.
Soltanto chi vedeva un simile spettacolo poteva comprendere e ricordare per sempre il calvario di quegli uomini e la loro sofferenza.
La guerra sia da una parte che dall'altra era arrivata ad un punto di svolta.
Nessuna guerra negli ultimi 100 anni era durata tanto e principalmente con tanti
morti.
L'IMPROVVISO AUMENTO DI UNITÀ COSTITUITE A SEGUITO DELLA MOBILITAZIONE, PORTÒ ALLA NECESSITÀ DI ASSEGNARE IL COMANDO DI BRIGATA ANCHE AI COLONNELLI IDONEI A RICOPRIRE L'INCARICO, MA NON ANCORA PROMOSSI. PER COSTORO NACQUE IL GRADO DI COLONNELLO BRIGADIERE.
Il Gen. Emilio De Bono ex comandante del 15° bersaglieri e attuale comandante del IX c.d.a. (zona Grappa) si lascia sfuggire " Ci giocano perché non abbiamo uomini, perché (la guerra) l'abbiamo fatta male all'interno. Fa niente: faremo la rivoluzione poi quella ci darà l'Uomo o gli uomini"
LA TESTA DI PONTE
47A DIVISONE BERSAGLIERI OLTRE L'ISONZO
IN QUEI GIORNI DI MAGGIO (1917) NEL SOLO TRATTO MONTE KUK- SANTO IL 6/12/21° RGT. BERSAGLIERI E I BTG. CICLISTI II,VIII,X PERSERO 112 UFFICIALI E 3.135 BERSAGLIERI.
I bollettini austriaci “bontà loro, riconobbero i favolosi eroismi degli italiani.
HERMADA - FLONDAR
Al termine della decima offensiva (maggio), la V armata austroungarica stringeva dappresso l’Hermada, l’ultimo baluardo prima di Trieste, e per migliorare la situazio
ne Boroevic decise un’azione (controffensiva) contro l’ala meridionale dello schieramento italiano prima che questa avesse avuto tempo di rafforzarsi sulle nuove posizioni.
L’attacco principale, alle 04:45 del 4giugno, investì il VII Corpo d’Armata (C.d.A), le cui unità erano state pesantemente impegnate nell’offensiva di maggio e lo schieramento italiano crollò come un castello di carte.
Trascorse le prime ore “di incertezza e di grave crisi”, la situazione tattica andò lentamente chiarendosi, e già alle 05:45 il comando del C.d.A era in grado di ordinare i primi movimenti delle brigata.
I bersaglieri erano andati in seconda linea solo il 2 giugno ma fu necessario richiamarli in linea dopo nemmeno 48 ore di riposo, per la necessità di tamponare la pericolosa falla.
I superstiti dei reggimenti 7° e 11° riuscirono a mettere assieme tre battaglioni (su 6 - ebbero la medaglia d'argento) con cui comporre un reggimento di formazione, subito assegnato a disposizione della 16a divisione, prima di essere riportati rapidamente a q. 144, per chiudere la falla assieme a un battaglione di fanti.
Verso sera, gli italiani organizzarono per il giorno successivo un contrattacco che prevedeva l’impiego simultaneo delle tre divisioni del VII C.d.A. L’azione doveva iniziare alle 05:30 del 5 giugno, preceduta da “breve ma intensa” preparazione d’artiglieria.
Il reggimento di formazione respinse un contrattacco; poi, guidato dal Col. Andrea Graziani, avanzò verso q. 146 di Flondar, assieme ai due reggimenti della l6a divisione.
L’operazione venne eseguita entro i tempi prefissati ma non ebbe successo, e solo alcune unità del 245° reggimento di fanteria riuscirono a irrompere nelle trincee nemiche, mentre l’avanzata delle altre forze venne fermata dalla reazione “vivissima” del nemico.
Episodi analoghi si verificarono un po’ lungo tutto il fronte d’attacco, con l’inevitabile risultato che il contrattacco perse il carattere di sforzo unitario e si frantumò in una serie di episodi slegati fra di loro.
Le operazioni vennero quindi sospese in previsione di una ripresa nel pomeriggio.
Ancora una volta, però, il “violentissimo” fuoco di sbarramento fermò l’azione italiana e impedì ai rincalzi di avanzare verso le prime linee.
Nei giorni successivi, gli schieramenti si stabilizzarono e rimase viva solo l’azione delle pattuglie, “facilmente” rintuzzate dagli italiani.
Gli strascichi di quell’azione durarono a lungo, con velenose polemiche sull’alto numero di prigionieri italiani.
In realtà, Flondar poteva essere interpretata come la prefigurazione di Caporetto, sia per le tecniche di attacco, sia per lo sbandamento iniziale delle unità sorprese da un nuovo modo di combattere, sia infine per la reazione dei vertici militari, ormai diffidenti nei confronti dei propri soldati.
Vi era un’altra analogia con Caporetto: come l’offensiva austro-germanica rispondeva in primo luogo alla necessità di alleggerire la pressione sulle stremate forze I.R.e, così Flondar serviva a recuperare gli effetti più negativi della decima offensiva che aveva oltremodo logorato le unità di Boroevic.
Non casualmente, Cadorna aveva iniziato a lavorare per l’undicesima offensiva quando la decima non era ancora conclusa, e già il 28 maggio il CS. era in grado di emanare/le prime direttive per la ripresa delle ostilità. Egli assegnò la conquista dell’altipiano di Comeno alla 3a armata mentre la Zona di Gorizia (armata speciale), comandata da Capello e la cui competenza si estendeva da Tolmino al Monte San Gabriele, avrebbe dovuto conquistare l’altipiano di Tarnova.
Era questo, in effetti, l’obiettivo principale assegnato a Capello, mentre era definito solo compito “sussidiario” la conquista dell’altipiano della Bainsizza.
Fra l’area di competenza della Zona di Gorizia e quella del Duca d’Aosta, che andava da Vipacco al mare, restava un settore scoperto che venne assegnato a un gruppo / tattico autonomo.
Era previsto un periodo di sosta per consolidare i vantaggi conseguiti, consentire il riordino di forze e mezzi e completare la preparazione della nuova offensiva.
L’undicesima battaglia continuava, in definitiva, la decima spallata: “la stessa fronte, lo stesso miraggio”.
A Nord, si trattava in teoria di conquistare l’altipiano di Tarnova, ma in pratica gli sforzi vennero concentrati sulla conquista dell’ altipiano della Bainsizza in maniera da minacciare l’arteria di Chiapovano. In questo settore venne impegnata la 47’ divisione, composta da due brigate bersaglieri, la 1a con i reggimenti 6° e 12°, e la 5’ con i reggimenti 4° e 21°.
A Sud, nell’attacco contro la linea Castagnevizza -Flondar, operarono le brigate bersaglieri 28, formata dai reggimenti 7° e 110 (due unità rinsanguate da “agguerriti anziani”), e 3a (quest’ultima composta dai reggimenti 17° e 18° formati per lo più dalle nuove reclute del 1897).
L’ordine di operazioni alle brigate 1a e 5a giunse nella notte del 16 agosto: la 1’ doveva conquistare q. 600, ed estendere la propria ala sinistra sino al Fratta, mentre la 5a avrebbe dovuto sfondare le linee nemiche fra il Fratta e l’altura Sud della q. 675, per poi avanzare verso l’Ossoinca e l’Oscedrih.
Il 17 il bombardamento italiano raggiunse effetti spaventevoli.
Poi iniziò l’afflusso delle colonne d’attacco, che andarono a occupare le posizioni di partenza.
Il 19 agosto le truppe uscirono dalle trincee.
Il IV C.d.A disponeva di tre divisioni, una delle quali era la 468, che aveva in forza il 2° reggimento bersaglieri, non utilizzato però nelle fasi iniziali.
Invece, c’erano almeno dodici battaglioni bersaglieri nella 47a divisione del XXIV C.d.A, che schierava la V brigata bersaglieri (reggimenti 4° e 21°) e la I brigata bersaglieri, con il 12° reggimento.
La 47’ divisione aveva avuto l’incarico delicato e particolarmente importante di forzare l’Isonzo in corrispondenza dei salienti di Loga e Bodrez, nonché a monte di Canale.
Da lì bisognava puntare sulla linea alta e occupare il contrafforte nord occidentale del Fratta, a sbarramento della valle dell’Avscek, inviando poi la massa delle truppe sull’Ossoinca e sulle pendici nordorientali di q. 856.
L’ attacco venne organizzato in maniera articolata, schierando a sinistra un gruppo d’attacco (Semmer-q. 856) con i reggimenti bersaglieri 4° e 21° e tre batterie da montagna, e sulla destra il gruppo di q. 600 costituito dal 12° reggimento bersaglieri e da due batterie da montagna, con quattro sezioni bombarde da 56 B.
Il gruppo di sinistra doveva puntare sul fronte tra il Semmer e il Fratta, spingendo poi un battaglione a protezione del fianco destro della 22’ divisione da attacchi provenienti dalla Valle dell’Avscek.
Una volta occupato l’obiettivo e preso contatto con il gruppo di destra (cui spettava la conquista di q. 600), si trattava di puntare con decisione su Ossoinca e q. 856.
La premessa dell’intera operazione era costituita dal sicuro passaggio dell’Isonzo.
Il forzamento del fiume venne affidato alle unità bersaglieri. In particolare, la 5’ brigata bersaglieri ebbe l’incarico di creare e mantenere le teste di ponte in corrispondenza delle località dove sarebbero stati gettati i ponti A e B, mentre la l’brigata bersaglieri avrebbe fatto lo stesso in corrispondenza dei ponti C e D. Nell’operazione furono coinvolti anche reparti di arditi.
La 5’ brigata inviò i suoi reparti d’assalto (una compagnia) oltre l’Isonzo, a S. Peter, a occupare il ciglione sopra la ferrovia, nelle vicinanze del ponte A.
In prossimità del ponte B, invece, avrebbero dovuto operare gli arditi e una compagnia bersaglieri del 21°; dopodichè era previsto che i due nuclei sulla riva sinistra provvedessero a collegarsi tra loro assicurando una cintura protettiva dietro cui effettuare in sicurezza la costruzione dei due ponti.
Così doveva avvenire pure per i ponti Ce D, il cui gittamento avrebbe dovuto essere protetto da due plotoni del 12° bersaglieri e dagli arditi del reggimento.
L’impiego di quelle unità non era casuale: di fatto, le fasi iniziali, quelle cruciali, del forzamento dell’Isonzo dipendevano in larga misura dalle capacità combattive di unità scelte, ossia di bersaglieri e di arditi che avrebbero dovuto impiantare le teste di ponte, proteggere la delicata fase della costruzione notturna dei ponti, e procedere intanto allo sviluppo delle operazioni sulla sponda sinistra del fiume.
L’ esecuzione del piano ebbe qualche intoppo, ma nel complesso l’intera operazione ebbe pieno successo. All’imbrunire del 18 i reparti si attestarono silenziosamente in corrispondenza dei ponti, e alle 22:00 iniziò il traghettamento per la costruzione delle teste di ponte.
Le unità in avanscoperta presero possesso della riva sinistra sfruttando la sorpresa e l’oscurità, mentre la costruzione dei ponti avvenne nel pieno della luce dei riflettori, il cui impiego era stato accuratamente pianificato per accecare i difensori austriaci, assicurando nel contempo piena visibilità ai genieri italiani.
L’allestimento dei ponti proseguì instancabile anche sotto il fuoco dell’artiglieria I.R., vigorosamente controbattuta da quella italiana.
Alle 21:30 del 18 agosto i due plotoni del XXIII/12° bersaglieri vennero traghettati in corrispondenza del vallone di Prihot, si impadronirono rapidamente della trincea bassa e proseguirono verso la rotabile Bodrez-Canale, stabilendo la prima testa di ponte, dietro a cui si procedette al gittamento del ponte C.
Alle 23:00, il XXIII/I2° iniziò a passare l’Isonzo sotto il fuoco di “qualche” mitragliatrice nemica.
l resoconto di un ufficiale che aveva partecipato al forzamento dell’Isonzo col battaglione bersaglieri lasciava intuire l’impianto generale dell’operazione.
Il battaglione varcò il fiume e dopo aver “fugate” le pattuglie nemiche con lancio di bombe a mano “formò una parvenza di testa di ponte”, dopodichè passarono gli altri battaglioni.
Tuttavia, si faceva notare, le compagnie avevano “un forte effettivo sulla carta, ma deficiente in servizio”.
Dopo aver ricevuto in rinforzo il battaglione alpini Monte Pasubio, l’unità aveva ripreso l’avanzata alle 12:00, spingendo un battaglione per il vallone di Loga verso il Fratta, e un altro verso il Semmer, dove si stava intanto dirigendo anche un terzo battaglione proveniente dal costone di Bodrez.
La resistenza nemica fu subito molto vivace e contrastò l’avanzata italiana, bloccando gli attacchi al caposaldo del Fratta “alle 15, alle 15,40 ed alle 18”.
Dietro a quei numeri v’era tutta la determinazione dei bersaglieri che non erano riusciti a sfondare la resistenza nemica, e ogni volta, imperterriti, avevano rinnovato gli sforzi per passare a ogni costo.
Le cose andarono diversamente attorno a q. 675 del Semmer, e la stessa R.U. austriaca riconobbe che in quel settore del fronte i bersaglieri erano riusciti a passare travolgendo la 4 brigata Schùtzen raggiungendo verso le 18:00 la zona in prossimità della cresta del Semmer.
Al termine del 19 agosto, la 5a brigata bersaglieri risultava schierata a ridosso della linea Fratta-Semmer, con cinque battaglioni bersaglieri in linea e una riserva formata da un battaglione bersaglieri e due di alpini.
C’era poi una brigata sul rovescio di q. 600, con due battaglioni in linea, e uno pronto in rincalzo.
Il 6° reggimento bersaglieri, assegnato alla divisione alle 15:00 del 19 agosto, era posizionato in riserva.
Il Comando del Corpo d’Armata mise a disposizione della divisione il 262° reggimento fanteria e per il giorno 20 ordinò la prosecuzione dell’ avanzata.
Quel giorno, la 47 divisione aveva fatto un ottimo lavoro e l’Isonzo era stato varcato lungo tutta la linea, nonostante l’intervento dell’artiglieria nemica avesse interrotto il flusso dei passaggi.
La divisione aveva guadagnato spazio ed era in procinto di impadronirsi dell’orlo occidentale della conca di Vrh, mentre la conquista di Canale e la costruzione dei ponti consentiva ora il passaggio delle prime batterie da montagna destinate ad appoggiare le colonne d’attacco.
Infine l’unità aveva catturato almeno 1.500 prigionieri e ben 53 ufficiali, e molti, a quel punto, si attendevano “nuovi e più cospicui vantaggi” per il giorno successivo.