BATTAGLIE DELL' ISONZO                                           22 GIUGNO 1915- 12 NOVEMBRE 1917



LA DECIMA BATTAGLIA DELL'ISONZO

12 - 28 MAGGIO 1917

 

Alla 2a Armata venivano assegnati come obiettivi le colline alle spalle di Gorizia su cui si erano ritirati gli austriaci: erano il Monte San Marco, il Santa Caterina, il Monte Santo più a nord il Kuk, il Kobilek il Vodice. Per la 3a Armata la lotta doveva riprendere contro i Monti Stol e Hermada veri capisaldi del sistema difensivo nemico per aprire la strada verso Trieste.
Il 12 maggio alle 4 del mattino le artiglierie italiane aprono il fuoco che continuerà sino al pomeriggio del 14 (furono utilizzati 2.300 cannoni e 1.000 bombarde che in 2 giorni spararono circa 1.000.000 di colpi), quando le fanterie della 2a Armata e della zona di Gorizia iniziano l'attacco.
La lotta che con alterne vicende si protrae violentissima sino al 22 maggio porta all'ampliamento della testa di ponte di Plava, alla conquista della dorsale Kuk-Vodice, alla conquista di importanti posizioni alle spalle di Gorizia.
Particolarmente aspra fu la lotta ingaggiata dalla Brigata "Campobasso" per la conquista del Monte Santo. I due Reggimenti 229° e 230° tra il 14 e il 15 maggio ebbero fuori combattimento 1.517 uomini di truppa e 36 ufficiali.
Il 23 maggio entrano in azione sul Carso le truppe della 3a Armata. Il 28 maggio terminava la battaglia: le perdite subite ammontarono a circa 44.000 uomini fuori combattimento mentre per gli austriaci furono circa 76.000.

Durante la battaglia si palesò subito il grave problema del munizionamento: infatti nel 1917 era cresciuto il numero della artiglierie impiegate, ma il quantitativo dei proiettili giornalieri per ciascuna bocca da fuoco era rimasto quello del 1916. Ciò indusse Cadorna ad ordinare il 17 maggio che l'impiego delle artiglierie si dovesse ritenere in massima vietato su tutta la fronte ove non fossero in corso nostre azioni offensive o difensive.
Dopo i molti incontri diplomatici tra il gennaio e l'aprile del 1917 l'arrivo della primavera fece riprendere le azioni militari. Sul fronte occidentale "L'Operazione Nuvelle" fallì totalmente e la situazione nelle Fiandre non cambiò. In Italia invece cominciarono i preparativi per una nuova offensiva sull'Isonzo che si sarebbe scatenata solamente dopo essersi assicurati l'immobilità austroungarica sul fronte trentino.
La Decima Battaglia dell'Isonzo doveva essere nei piani di Cadorna, lo scontro che avrebbe permesso all'Italia di gettare le basi per la conquista di Trieste.
Per questo motivo venne preparata un'azione in grande stile che prevedeva l'attacco della 3a Armata alla LINEA TRSTELJ-MONTE HERMADA, mentre tre corpi d'armata alla guida del reintegrato Gen. Capello, avrebbero dovuto conquistare il Monte Santo e il San Gabriele, alture alle spalle di Gorizia.
L'intraprendente Capello propose una variante al piano iniziale, ovvero la creazione di una testa di ponte 10 km a nord della quota 383 nei pressi di Plava e l'attacco dei monti attraverso l'arido Altopiano di Bainsizza.
Si puntava tutto sull'effetto sorpresa: Borojevic, costretto a schierare pochi soldati, non si sarebbe mai aspettato una discesa italiana attraverso quella zona priva di qualsiasi via di comunicazione.
Il 12 maggio un fitto bombardamento verso le linee asburgiche anticipò come sempre l'imminente attacco italiano che scattò esattamente a mezzogiorno. Capello lanciò i suoi uomini contro la quota 383, che benché difesa da un solo battaglione resistette per diverse ore prima di essere occupata.
L'avanzata verso la cima successiva il Monte Kuk fu molto difficile dato l'ottimo posizionamento difensivo dei soldati austroungarici. La situazione rimase a lungo bloccata nonostante l'intervento delle batterie sul Sabotino, nascoste nelle numerose gallerie costruite l'anno precedente. Nel giro di poche ore la cima venne persa riconquista e ancora una volta persa.
Capello lanciò due battaglioni sull'Altopiano, ma questi non riuscirono a penetrare fallendo così l'aggiramento della linea Monte Kuk-Monte Vodice-Monte Santo. Vista la situazione, Cadorna decise di sospendere questo attacco, ma il Gen. Capello ancora una volta lo convinse che l'operazione era possibile. I fatti inizialmente gli dettero ragione: il 17 maggio cadde il Monte Kuk ed il 18 maggio i soldati polacchi furono costretti a lasciare la cima del Monte Vodice.
Ma proprio quando venne la volta del Monte Santo l'avanzata si fermò: i soldati italiani non riuscirono più a muoversi dalle loro nuove posizioni e gli attacchi verso l'ultimo crinale fallirono completamente.


Data 12 maggio - 5 giugno 1917
Luogo Valle del fiume IsonzoItalia
Esito Offensiva italiana respinta
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
430 battaglioni e 3.800 pezzi di artiglieria 210 battaglioni e 1.400 pezzi di artiglieria
Perdite
160.000
(36.000 morti)
125.000
(17.000 morti)

L'UNDICESIMA BATTAGLIA DELL'ISONZO.

LA CONQUISTA DELL'ALTOPIANO DELLA BAINSIZZA

17 / 31 AGOSTO 1917

 

Dopo la Decima Battaglia gli austriaci si erano ritirati su una linea di collina che andava da Tolmino, coi Monti Santa Lucia e Santa Maria, al San Daniele - San Gabriele, appoggiandosi agli altopiani di Ternova e Bainsizza, che costituivano il terreno necessario al movimento delle loro truppe.
Il piano di azione italiano prevedeva la conquista dei due altopiani da parte della 2a Armata del Gen. Capello, mentre la 3a Armata del Duca d'Aosta doveva superare la difesa del Monte Hermada aprendosi la strada verso Trieste.
Il 17 agosto alle 6 del mattino tutti i cannoni delle due armate aprivano contemporaneamente il fuoco dal Mrzli al mare. Sull'Isonzo nei pressi di Caporetto gli italiani avevano costruito uno sbarramento artificiale per diminuire la portata del fiume e permettere il gittamento di passerelle sulle quali la notte del 19 agosto passavano le truppe del XXVII e del XXIV Corpo d'Armata.
Dopo due giorni di lotta con alterne fortune, la battaglia riprendeva vigore spostandosi verso l'Altopiano della Bainsizza ove maggiori erano i nostri successi.
Trovandosi però la testa di ponte austriaca di Tolmino e l'Altopiano di Ternova a est nordest e la battaglia in movimento verso sud i veri obiettivi si stavano allontanando. Nonostante notevoli contrattacchi austriaci l'avanzata italiana era in pieno svolgimento su tutta la linea d'attacco mentre gli austriaci non avevano più riserve per contrastare la 3a Armata verso Trieste.
Il Gen. Borojevic preso atto della situazione, ordinava il ritiro delle truppe austriache su una nuova linea difensiva alle spalle dell'Altopiano della Bainsizza. Ma il 25 agosto per gli austriaci arrivavano importanti rinforzi dalla Galizia e la battaglia entrava in una fase di esaurimento per concludersi definitivamente il 31.
L'11a Battaglia dell'Isonzo era costata agli italiani circa 144.000 uomini messi fuori combattimento tra morti feriti e dispersi mentre per gli austriaci furono 85.000. Vennero sparati circa 4.000.000 di proiettili da parte dell'artiglieria italiana e circa 2.000.000 da quella austriaca che ebbe oltre il 38% dei suoi cannoni fuori uso.
La consapevolezza da parte austriaca di non poter sostenere un altro urto italiano, spinse i comandi a chiedere aiuto all'alleato tedesco.

All'inizio di agosto Cadorna preparò una nuova offensiva sull'Isonzo che in termini numerici avrebbe dovuto essere la più grande mai vista prima. Sicuro che in Trentino non ci sarebbero stati nuovi attacchi da parte degli uomini di Carlo I, il generale spostò dodici divisioni sull'Isonzo ed attese pazientemente che le industrie italiane rifornissero di munizioni sufficienti i 3.750 cannoni e le 1.900 bombarde concentrate in un solo punto: l'Altopiano della Bainsizza. Si trattava di una novità: mai prima di allora un attacco italiano era stato previsto in un'unica zona del fronte.
Le esperienze precedenti avevano suggerito di lasciar perdere momentaneamente la linea Trstelij-Monte Hermada ben difesa dagli austroungarici e concentrare tutta l'offensiva tra Gorizia e Tolmino in modo da cogliere impreparato l'esercito di Borojevic.
Il fronte italiano disponeva in quel momento di più di mezzo milione di soldati pronti ad attaccare.
Nei primi giorni di agosto ci fu un bombardamento intensissimo tra l'altopiano e il Monte Hermada con bombe lanciate anche da batterie galleggianti allestiste a Punta Sdobba, sulla foce dell'Isonzo, e l'utilizzo massiccio dell'aviazione.
All'alba del 19 agosto iniziò l'attacco con la fanteria. La 3a Armata avanzò leggermente ad est raggiungendo le macerie del villaggio di Selo, mentre sulla Valle del Vipacco non ci fu alcun progresso. La 2a Armata si addentrò invece per svariati chilometri all'interno dell'Altopiano della Bainsizza, riuscendo a far prigionieri più di 11.000 uomini e facendo propri decine di cannoni nemici. Tutti i membri del Comando Supremo erano sorpresi dalla facilità di questa operazione.
La stessa situazione si presentò una volta arrivati ai piedi del Monte Santo il 24 agosto. In pochissimi minuti un reggimento italiano raggiunse la cima e prese così definitivamente il possesso di questa collina.
L'entusiasmo arrivò fino alle sedi dei Paesi Alleati e Lloyd George si convinse che la Grande Guerra fosse ad una svolta definitiva. Ma nei giorni seguenti quella che sembrava un'inarrestabile avanzata si interruppe bruscamente. L'Altopiano della Bainsizza dimostrò di essere un terreno molto difficile da attraversare e l'esercito impiegò diversi giorni per spostare gli armamenti pesanti. Inoltre l'ultimo obiettivo di questa operazione il Monte San Gabriele era ben presidiato dagli austroungarici.
Nei successivi 20 giorni si susseguirono diversi attacchi che costarono la vita a 25.000 soldati italiani ma la cima non fu conquistata.
Il 19 settembre fu evidente che non ci sarebbe stata più alcuna avanzata e l'offensiva venne sospesa.

Data Dal 17 agosto al 31 agosto 1917[1]
Luogo presso il fiume Isonzo, vicino GoriziaAltopiano della Bainsizza, oggi Slovenia
Esito Inconclusiva
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
600 battaglioni
5.200 pezzi d'artiglieria
250 battaglioni
2.200 pezzi d'artiglieria
Perdite
160.000 (30.000 morti
110.000 feriti
20.000 dispersi o prigionieri)
120.000 (20.000 morti
50.000 feriti
30.000 dispersi
20.000 prigionieri)

LA DODICESIMA BATTAGLIA DELL'ISONZO:

CAPORETTO. 24 OTTOBRE - 10 NOVEMBRE 1917

 

Paradossalmente fu proprio la conquista dell'Altopiano della Bainsizza a creare le premesse per la tragedia di Caporetto. Infatti l'Austria fu costretta a confessare al suo alleato germanico che non sarebbe stata più in grado di resistere ad un'altra battaglia essendo ormai stremata di forze.
Le prime avvisaglie dell'interesse germanico per il fronte italiano furono determinate dal crollo russo e agevolate dall'inazione francese.
Il 24 ottobre alle 2 del mattino 15 divisioni miste austro-tedesche attaccarono nella Conca di Plezzo e Tolmino la nostra 2a Armata. Nell'arco di poche ore l'ala destra della 2a Armata cedette per evitare l'accerchiamento.
Il 25 ottobre circa 1 milione di uomini su tutto il fronte giuliano iniziò a ritirarsi verso il fiume Torre poi verso il Tagliamento per giungere al Livenza. La notte tra il 25 ed il 28 ottobre anche la 3a Armata del Carso, per non rimanere accerchiata, iniziava il ripiegamento verso il Piave ed il Grappa raggiunto il 6 novembre.
Il 7 novembre il Re destituiva il Gen. Cadorna da Comandante in Capo del Regio Esercito, nominando al suo posto il Gen. Diaz.
Il 10 novembre terminava la ritirata italiana: era costata 10.000 morti 30.000 feriti 300.000 prigionieri 350.000 sbandati e disertori. Erano stati persi 3.152 pezzi d'artiglieria, 1.732 bombarde, 3.000 mitragliatrici. Rimanevano 400.000 uomini in piena efficienza dallo Stelvio al Brenta e altri 300.000 uomini, i resti della 2a e della 3a Armata dal Brenta al mare aggrappati al Massiccio del Grappa.
Con grande sorpresa di tutti i soldati della 2a Armata, alle 2 del mattino del 24 ottobre 1917 le linee italiane tra Plezzo e Tolmino iniziarono ad essere colpite da un bombardamento senza precedenti, sia per l'intensità che per precisione. I cannoni austrogermanici erano stati puntati sulle linee retrostanti su quelle di comunicazione, sugli osservatori e sulle postazioni di artiglieria.
Per cinque ore le granate caddero in maniera incessante e distrussero gran parte delle strutture italiane. La prima linea rimase isolata e alle 7 del mattino la fanteria uscì dalle trincee. Ebbe inizio la Dodicesima Battaglia dell'Isonzo.
Gli austrogermanici si mossero simultaneamente sia da nord, nei pressi del Monte Rombon, che da sud, a Tolmino.
La prima zona era ben difesa dall'esercito italiano ma alle bombe si mischiarono anche granate a gas asfissiante che in breve tempo uccisero oltre 700 uomini della Brigata "Friuli". I superstiti ricevettero l'ordine di ripiegare lasciando così via libera verso il villaggio di Saga al Corpo d'Armata guidato dal Gen. Alfred Krauss.
A Tolmino invece, la truppe italiane furono colte totalmente impreparate: l'ordine di ripiegamento verso il vicino Altopiano di Kolovrat, ricevuto il 10 ottobre, fu trascurato per diversi giorni. Il Gen. Badoglio iniziò ad organizzarlo solo il 22 dando agli austrogermanici un notevole vantaggio.
I battaglioni tedeschi cominciarono a risalire il fondovalle verso nord incontrando sulla loro strada pochi soldati italiani i quali per mancanza di ordini ufficiali non spararono nemmeno un colpo. A mezzogiorno giunsero a Kamno e due ore più tardi alle porte di Caporetto preceduti solo dai soldati italiani che stavano frettolosamente abbandonando tutte le loro posizioni.
Alle 15.30 il ponte sull'Isonzo venne fatto saltare in aria ma ciononostante prima del tramonto i tedeschi entrarono nella cittadina insieme a duemila prigionieri italiani. Sempre quel giorno un contingente formato da Alpenkorps e da un battaglione da montagna del Wurttemberg uscì da Tolmino ed attaccò direttamente ad ovest puntando sulla Cima di Kolovrat. Anche in questo caso i bombardamenti furono devastanti e i soldati raggiunsero facilmente quota 1114 sede di una postazione fortificata italiana. Anziché ingaggiare un attacco frontale il giovane ufficiale Rommel ordinò l'aggiramento di questa postazione e il successivo avanzamento verso ovest.

Data 24 ottobre - 12 novembre 1917
Luogo Valle del fiume Isonzo nei pressi di Caporetto, oggi in Slovenia
Esito Vittoria austro-ungarica e tedesca. Ritirata delle truppe italiane fino al Piave
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
257 400 soldati
1 342 cannoni[3]
353 000 soldati
2 518 cannoni[4]
Perdite
Dai 10 000 ai 13 000 morti
30 000 feriti
265 000 prigionieri
50 000 tra morti e feriti

LUOGHI DELLA GRANDE GUARRA

LE BATTAGLIE DELL' ISONZO

1915 - 1917




FOTO BATTAGLIE DELL' ISONZO


DECIMA BATTAGLIA DELL' ISONZO




UNDICESIMA BATTAGLIA DELL' ISONZO






DOCICESIMA BATTAGLIA DELL' ISONZO










IL GENERALE GRAZIANO:

 

“CAPORETTO, UNA SCONFITTA NON UNA DISFATTA”


Le forze armate italiane, a Caporetto, vissero la loro disfatta più terribile.

«Non fu una disfatta. L’8 settembre fu una disfatta».

E Caporetto?

«Fu una gravissima sconfitta. Che portò alla vittoria. Senza Caporetto non ci sarebbe stata Vittorio Veneto.

L’esercito si riprese. Accadde una cosa mai accaduta, né prima né dopo: il Paese intero scese in guerra.

E, brutto a dirsi, cominciammo a odiare il nemico. Capimmo che era in gioco la sopravvivenza dell’Italia.

Fu la nascita, o la rinascita, della nazione».

Com’è stato possibile il crollo?

«C’erano i tedeschi. Le forze imperiali germaniche furono fondamentali nello sfondamento.

Due mesi prima sulla Bainsizza eravamo andati vicini a vincere la guerra, anche se non ce n’eravamo accorti.

Alla

spallata successiva l’Austria sarebbe crollata; per questo chiese aiuto alla Germania».

Quale fu la responsabilità di Cadorna?

«Il comandante in capo è sempre il primo responsabile; anche se Capello, il comandante della seconda Armata, non mise in atto tutte le prescrizioni.

C’era stata una regressione nella qualità di comando.

Mancò il controllo dell’artiglieria».

Come mai i cannoni di Badoglio tacquero?

«La commissione d’inchiesta fu severa con tutti tranne lui, che al fianco di Diaz stava riorganizzando l’esercito.

Ma a Caporetto sbagliò: non riuscì a far arrivare l’ordine di aprire il fuoco, e i suoi ufficiali Quali sono le altre cause di Caporetto?

«Venne usato il gas.

Non vi fu la percezione del disastro: era una giornata di nebbia e pioggia.

Le prime linee combatterono.

Poi le retrovie crollarono. La stanchezza per due anni e mezzo di “inutile strage”, la propaganda disfattista, gli effetti della rivoluzione russa: queste percezioni filtravano.

Purtroppo Cadorna non colse quella stanchezza morale».

I soldati andavano all’assalto piangendo.

«Sull’Ortigara, nell’offensiva del ‘17 sull’Altipiano di Asiago, si comprese che era finita la fase eroica delle prime battaglie.

I fanti andavano alla morte rassegnati.

Eppure continuavano ad attaccare, con un’abnegazione ammirata più dai nemici che dagli alleati, come i francesi, che continuavano a criticarci».

Ci sono troppe vie dedicate a Cadorna?

«Cent’anni dopo non si può mettere in discussione la memoria. Ho studiato la personalità di Cadorna alla Scuola di guerra americana.

Era un uomo rigido, con problemi di comunicazione e poca capacità di empatia. Ed era un comandante vigoroso, che seppe gestire due momenti fondamentali: fermò la spedizione punitiva sugli altopiani, e preparò le linee sul Piave e sul Grappa, dando sia pure in ritardo gli ordini che hanno permesso di salvare il Paese.

L’elemento negativo fu la tentazione iniziale di dare la colpa di Caporetto ai soldati.

Questo un capo non può farlo. Mai. I soldati caduti o che stanno combattendo li devi sostenere.

Rimpiazzare chi ha ceduto, ricreare il morale.

Purtroppo il generale delle battaglie non ha mai saputo diventare il generale della vittoria».

È giusto riabilitare i fucilati?

«Nessun Paese l’ha fatto. Gli inglesi hanno decretato un “perdono collettivo”.

All'epoca il senso della vittoria prevaleva su altri sentimenti; il codice militare risaliva all’ 800 ed era molto rigido;

ci furono eccessi nell'applicazione della pena di morte. Nei momenti di crisi c’era l’esigenza di mantenere la

solidità dell’esercito».

Ci furono fucilazioni di massa.

«Infatti è giusto distinguere tra i processi celebrati regolarmente, dove non ci può essere revisione di giudizio, e le esecuzioni sommarie.

Tra chi ha commesso il fatto rischiando di mettere a rischio la stabili età del fronte, e le vittime delle decimazioni.

Tra chi ha combattuto e chi è fuggito. I friulani e i veneti

 

delle terre occupate videro soldati battersi per proteggerli e altri ritirarsi.

Oggi noi dobbiamo riconoscere il giusto merito ai valorosi, e pensare con pietà a tutti i caduti.

Una forma di rispetto nazionale».

Ma quella guerra era meglio non farla.

 

«Non potevamo non farla. Tutti i Paesi europei, le potenze ma anche gli Stati balcanici, stavano combattendo.

E noi non eravamo isolati come la Spagna. Prima o poi saremmo stati coinvolti».

 

Come spiega la rinascita sul Piave?

«Tutto accade in pochi giorni. La linea tiene sul Grappa. Il 16 novembre nella battaglia di Fagaré entrano

in linea i ragazzi del ’99, accanto ai fanti della Terza Armata ritiratisi dal Carso. Quella prima vittoria fu

un raggio di luce nel momento della disperazione. A dicembre la grande battaglia d’arresto sul Piave era

vinta. I tedeschi ritirarono i loro contingenti».

Come fu possibile?

 

«I fanti compresero che la sconfitta non avrebbe portato la pace, ma la disgregazione nazionale. Realizzarono che non c’era altra via che resistere e vincere. Combattevano per salvare le loro famiglie e il

 

Paese. Fu anche merito del vecchio capo, che aveva costruito linee e riserve. E poi per la prima e unica volta nella storia l’esercito ebbe dietro tutto il Paese. Comincia la guerra totale, animata da una totale volontà di vittoria.

Le fabbriche costruiscono più aeroplani nell’anno tra Caporetto e Vittorio Veneto che in tutta la seconda guerra mondiale. Le donne dimostrano di saper fare gli stessi lavori degli uomini, magari meglio.

Si impongono regole militari anche ai civili.

E si sviluppano l’odio e l’aggressività verso il nemico».

Fino a quel momento non odiavamo gli austriaci?

«No, tranne alcuni di noi.

I bergamaschi, intrisi di cultura risorgimentale e garibaldina. I valdostani,

 

considerati i soldati perfetti: rudi montanari e cacciatori, da sempre erano la guardia dei Savoia, combattevano gli austriaci da sei generazioni. Infatti bergamaschi e valdostani ebbero la più alta percentuale di

 

caduti. Tutto cambia di fronte allo stupro del Friuli, all'occupazione, alla violenza contro i civili». (...)