LA VITTORIA
Nella primavera del 1918 gli imperi centrali fecero un ultimo, disperato tentativo di rovesciare il destino della guerra.
In Francia l'esercito tedesco riusci a raggiungere nuovamente la Marna, ma furono respinti definitivamente dalle truppe francesi e americane oltre che da cannoni, carri armati, aerei.
L'esercito Italiano respinse gli attacchi austriaci e ottenne la vittoria decisiva a Vittorio Veneto.
Proseguirono verso Trento e Trieste dove entrarono il 3 novembre.
Il 4 Novembre fu firmato l'armistizio con l'Austria.
L'11 Novembre la Germania chiese la pace.
L'imperatore tedesco e quello austriaco furono costretti ad abdicare da violente rivolte popolari.
TRAGICO BILANCIO
Caduti italiani: 600.000, caduti francesi: 1.400.000, caduti tedeschi: 1.800.000, caduti austro-ungarici: 1.300.000, russi 1.600.000.
Comunque la maggior parte dei caduti sono tra i combattenti: la seconda guerra mondiale sarà invece caratterizzata dall'enorme numero di vittime civili.
Inoltre la fine della Grande Guerra lascia irrisolti gravissimi problemi che saranno alla radice della Seconda Guerra Mondiale.
(Pallanza, 4 settembre 1850 – Bordighera, 21 dicembre 1928).
Cadorna capì che in caso di sconfitta, il monte Grappa sarebbe stato indispensabile per bloccare il nemico nel settore da Vicenza al Montello e avrebbe costituito quindi il fulcro della difesa italiana.
Luigi Cadorna nacque a Pallanza nel 1850, da famiglia di solide tradizioni militari. Suo padre, infatti, era quel generale Raffaele Cadorna cui, dopo aver combattuto valorosamente in Algeria, in Crimea e a S. Martino, toccò in sorte di comandare, nel 1870, il corpo d'Armata che doveva dare Roma all'Italia.
Sottotenente nel Corpo di Stato Maggiore a diciotto anni, (nel 1868), Luigi Cadorna mostrò fin d'allora quelli che dovevano essere i tratti inconfondibili della sua figura di soldato: fortissimo carattere, indomabile energia, amore dello studio e della riflessione, tenacia nel lavoro, attaccamento ferreo al dovere.
Per più anni alternò servizi di stato maggiore a turni di comando di truppe.
Raggiunto il grado di colonnello nel 1892, ebbe dapprima il comando del 10° reggimento bersaglieri e fu poi Capo di Stato
Maggiore dell'VIII corpo d'Armata.
Col grado di maggior generale (1898-1905) comandò la Brigata Pistoia; con quello di tenente generale tenne successivamente i comandi delle Divisioni di Ancona e Napoli e, nel 1911, fu chiamato a comandare il IV corpo d’Armata. L'anno dopo, il generale veniva designato per il comando di un'armata in guerra. Scomparso, poi, improvvisamente nel luglio del 1914 il generale Alberto Rollio, Luigi Cadorna fu chiamato a succedergli nella carica di Capo di Stato Maggiore dell'Esercito mentre balenavano già all'orizzonte le prime fiamme dell'incendio europeo.
Il nuovo Capo di Stato Maggiore si pose al lavoro, per fare dell’Esercito Italiano una macchina all’altezza della prova che si profilava all’orizzonte.
Col piano che egli stesso aveva preparato scese in campo, alla testa dell’Esercito, nel maggio 1915 e nonostante le gravi difficoltà condusse quella serie di offensive sull'Isonzo, che dovevano, in poco più di due anni, ridurre l'esercito nemico a mal partito.
Tentò il Capo di SM dell’esercito austro-ungarico di sorprendere il Comando Supremo italiano, nella primavera del 1916, passando all'offensiva in Trentino e minacciando di traboccare nella pianura veneta, alle spalle del nostro schieramento sull’Isonzo, ma il generale Cadorna, dopo aver parato quella minaccia, rispondeva all'avversario con una manovra controffensiva che diede all'esercito italiano la vittoria di Gorizia. Seguitò, poi, a " stringere alla gola ", come disse il generale Ludendorff, l'esercito nemico, fino a quando questo, dopo la sconfitta della Bainsizza (agosto 1917), temendo di non poter più difendere Trieste, si vide costretto ad invocare l'aiuto dell'alleata Germania.
(Napoli, 5 dicembre 1861 – Roma, 29 febbraio 1928).
Armando Diaz ha saldato con una gemma di incomparabile bellezza la splendente catena d'oro, plasmata al fuoco di quella passione, di cui il primo anello si trova nella lontananza del tempo tra cospirazioni, galere e forche. Il Bollettino della Vittoria, che ogni italiano rilegge con animo grato e con commosso cuore, è inciso profondamente in una tavola di diamante e gli evi vi passeranno sopra senza scalfirlo, più forte del tempo che tutto travolge e distrugge. Essa reca a piè il nome di Diaz e questo apparirà alle genti lontane circonfuso di gloria, come quello di un nume, cui è indissolubilmente legata la storia e il fato di un gran Popolo.
Nato a Napoli il 5 dicembre 1861 da Ludovico e Irene Cecconi, in una famiglia (di lontana origine spagnola) di militari e magistrati : il nonno Antonio era stato "ordinatore di guerra" durante il regno di Ferdinando II, il padre Ludovico fu ufficiale del genio navale nella marina borbonica e poi italiana ; anche la madre veniva da una famiglia di magistrati e professionisti. Il padre, dopo aver lavorato negli arsenali di Genova e di Venezia (di quest’ultimo era stato direttore, con il grado di colonnello), morì nel 1871 ; la vedova con i quattro figli si stabilì a Napoli, sorretta dalle cure del fratello Luigi, avvocato, vivendo in modesta agiatezza.
Il giovane Armando compì gli studi elementari in varie scuole private, poi', già orientato alla carriera militare, frequentò lo. scuola tecnica pubblica, quindi l’istituto tecnico, traendone una solida cultura scientifica e la capacità di scrivere un italiano sobrio e corretto ; molto tempo dedicò anche agli esercizi ginnici in palestra. Superati gli esami di ammissione all’Accademia militare di Torino grazie alle lezioni del noto matematico Ruggieri, vi prese servizio il 15 settembre 1879; sottotenente di artiglieria nel 1882, frequentò la Scuola di applicazione di artiglieria e genio di Torino e nel 1884 fu assegnato con il grado di tenente al 10° reggimento di artiglieria da campo di stanza a Caserta.
Vi rimase fino al 1890, alternando studio e lavoro con la partecipazione alla vita della buona società napoletana.
Nel marzo 1890 fu promosso capitano e trasferito al 1° reggimento di artiglieria da campo stanziato a Foligno. Ancora con l’aiuto del professor Ruggieri preparo e superò gli esami di ammissione alla Scuola di guerra, che frequentò nel 1893-95 classificandosi al primo posto della graduatoria finale del suo corso. Il 23 aprile 1895 sposò Sarah. De Rosa, di una famiglia napoletana di avvocati e magistrati.
Dal 1895 al 1916 la carriera di Diaz si svolse prevalentemente negli uffici del comando del corpo di Stato maggiore, dove lavorò per un totale di circa 16 anni, lasciando Roma soltanto per 18 mesi per comandare un battaglione del 26° reggimento di fanteria, dopo la promozione a maggiore nel settembre 1899, e per poco più di tre anni nel 1909-12.
A Roma prestò servizio soprattutto nella segreteria del capo di Stato maggiore dell’Esercito, Tancredi Saletta e poi A. Pollio: un incarico che non lasciava spazio per studi personali o strategici, ma comportava un confronto quotidiano con la realtà dell’esercito (organici, bilanci, armamenti) e con il mondo politico romano. Di statura medio-bassa, tarchiato ma non pesante, con i capelli tagliati a spazzola e grandi baffi (più tardi ridotti a baffetti), elegante senza esibizioni, di poche e forbite parole, buon conoscitore del francese e sempre disposto a tornare al suo napoletano, autorevole ma non autoritario, esigente ma comprensivo. Tenente colonnello dal 1905, nell'ottobre 1909 Diaz lasciò Roma perché nominato capo di stato maggiore della divisione di Firenze.
Il 1° luglio 1910 fu promosso colonnello e
assunse il comando del 21° reggimento di fanteria stanziato a La Spezia, dove seppe accattivarsi l'affetto dei soldati con un regime disciplinare generoso e un attivo interessamento alle loro
condizioni di vita. Nel maggio 1912 fu destinato in Libia a sostituire il comandante del 93°
Reggimento di fanteria, caduto ammalato; e subito ebbe per i suoi nuovi soldati dimostrazioni di affetto e di fiducia relativamente rare nell'esercito del tempo, immediatamente ricambiate.
Il 20 settembre 1912, nello scontro di Sidi Bilal nei pressi di Zanzur, fu ferito da una fucilata alla spalla sinistra mentre conduceva le truppe all'attacco; prima di abbandonare il terreno volle assicurarsi del successo del suo reggimento e baciare la bandiera, lasciando poi ai soldati un ordine del giorno di elogio e ringraziamento. Fu rimpatriato con la croce di ufficiale dell'ordine militare di Savoia.
Nel gennaio 1913, appena guarito, Diaz riprese servizio al comando del corpo di Stato maggiore dell'esercito, come capo della segreteria di Pollio.
Fu confermato in questa carica dal nuovo capo di stato maggiore L. Cadorna, poi nell'ottobre 1914 promosso maggior generale, assegnato al comando della brigata Siena e subito richiamato al comando del corpo di Stato maggiore come generale addetto.
Nel maggio 1915, al momento della costituzione del Comando Supremo dell'Esercito mobilitato, in cui era l'ufficiale più elevato in grado dopo Cadorna e il sottocapo Pollio, Diaz ebbe la responsabilità del reparto operazioni, che però, malgrado il nome, non si occupava di operazioni (la cui direzione era accentrata nella mani di Cadorna e della sua piccola segreteria), ma dirigeva l'insieme degli uffici e servizi del Comando Supremo e quindi esigeva una visione complessiva della situazione dell'esercito.
Diaz resse l’ufficio con efficienza e piena soddisfazione di Cadorna per oltre un anno, poi chiese di andare al fronte...
|
||||
|
Bollettino della Vittoria (il telegramma del Comando Supremo, firmato Diaz, che annuncia la sconfitta dell'esercito austroungarico alla fine della I Guerra Mondiale). Ce n'è una
copia in numerose località (vedine altro
esempio oppure un altro ancora) e il fatto
curioso è che non tutte queste copie sono perfettamente identiche: bisognerebbe fare un'edizione critica dei diversi "Bollettini della Vittoria" sparsi per l'Italia!
|
|
PRIMO PROCLAMA DEL RE VITTORIO EMANUELE III
Il 23 maggio 1915 il Duca D'Avarna, Ambasciatore del Regno d'Italia a Vienna, presentava al Ministro degli Esteri austroungarico la seguente dichiarazione di guerra:
“Secondo le istruzioni ricevute da S.M. il Re Suo Augusto Sovrano, il sottoscritto ha l’onore di parteci-pare a S.E. il Ministro degli Esteri d’Austria-Ungheria la seguente dichiarazione:
Già il 4 del mese di maggio vennero comunicati al Governo Imperiale e Reale i motivi per i quali l’Italia, fiduciose del suo buon diritto ha considerato decaduto il trattato d'Alleanza con l’Austria-Ungheria, che fu violato dal Governo Imperiale e Reale, lo ha dichiarato per l'avvenire nullo e senza effetto ed ha ripreso la sua libertà d'azione.
Il Governo del Re, fermamente deciso di assicurare con tutti i mezzi a sua disposizione la difesa dei diritti e degli interessi italiani, non trascurerà il suo dovere di prendere contro qualunque minaccia presente e futura quelle misure che vengano imposte dagli avvenimenti per realizzare le aspirazioni nazionali. S.M. il Re dichiara che l’Italia si considera in stato di guerra con l’Austria-Ungheria da domani.
Il sottoscritto ha l’onore di comunicare nello stesso tempo a S.E. il Ministro degli Esteri Austro-Ungari-co che i passaporti vengano oggi consegnati all’Ambasciatore Imperiale e Reale a Roma. Sarà grato se vorrà provvedere a fargli consegnare i suoi”.
Il primo proclama del Re Vittorio Emanuele III alle truppe combattenti:
Soldati di terra e di mare!
L'ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l'esempio del mio Grande Avo, assumo oggi il comando supremo delle forze di terra e di mare, con sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire. Il nemico che vi accingete a combattere è agguerrito e degno di voi. Favorito dal terreno e dai sapienti apprestamenti dell'arte, egli vi opporrà tenace resistenza; ma il vostro indomito slancio saprà di certo superarla.
Soldati !
A voi la gloria di piantare il tricolore d'Italia sui termini sacri che la natura pose ai confini della Patria nostra. A voi la gloria di compiere, finalmente, l'opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri.
Dal Gran Quartiere Generale, 24 maggio 1915.
VITTORIO EMANUELE
PER IL CENTENARIO DEL REGNO D’ITALIA
Italiani!
Oggi celebriamo l’evento più splendente della nostra storia: dopo secolari divisioni e tante aspre vicende, divenimmo una Nazione sola.
A che vale il tentativo di qualificare centenario dell’Unità quello che è il centenario del Regno?
Non soffermiamoci su questa vana polemica.
Nel 1861 Regno e Unità erano già una cosa sola.
Tutti sentirono che con la proclamazione del Regno, Venezia, Roma - e poi Trieste e Trento
- erano virtualmente già nostre.
L’epica impresa poté grado a grado raggiungere l’altissimo fine, perché il Re Vittorio Emanuele II, con a fianco Camillo di Cavour, aveva assunto con mano ferma la direzione e la responsabilità del moto nazionale, coraggiosamente superando difficoltà di ogni genere.
Attorno ad essi sorsero da ogni terra d’Italia, magnifico prodigio, falangi di patrioti, sempre tutti presenti nei nostri grati cuori.
L’apostolato di Mazzini e l’eroismo di Garibaldi integrarono l’opera meravigliosa, risultato di forze confluenti e contrastanti, fuse nella sintesi costruttiva della Monarchia nazionale.
Discordie e rancori di partiti furono arsi dal sentimento religioso della Patria: così come sorse il Regno d’Italia.
Il culto costante delle supreme idealità, alle quali gli Italiani si ispirarono in quegli anni eccelsi del proprio destino, deve ritemprare gli animi, liberandoli dai dubbi e dai timori di questi tempi difficili.
La celebrazione di quegli Uomini e di quelli gli avvenimenti sarebbe vana retorica se non fosse d’insegnamento e di guida. Anche oggi la Nazione ha bisogno di fede e d’ardimento.
Fede nella libertà, unico presidio contro i pericoli di concezioni totalitarie aperte o nascoste; ardimento nella sua difesa, senza debolezze e senza confusioni.
Progresso sociale e allargamento della base democratica dello stato - che furono ogni ora auspicate dai miei predecessori e da me - sono vane parole senza il presidio della libertà.
Italiani!
Questo è l’impegno e l’obbligo dell’ora solenne che viviamo: solo così la rievocazione centenaria del Regno e dell’Unità ha un significato ed equivale a giuramento di servire, a costo anche della vita, intangibile nei suoi confini, sicura nelle sue libere istituzioni, audace nel perseguire la sua ascesa spirituale e materiale.
Ritornano al nostro spirito, con la certezza e l’entusiasmo di allora, le parole pronunciate dal mio grande Bisavo dopo l’annessione di Roma: “l’Italia è libera ed una, facciamola grande e felice!”.
Cascais, 17 marzo 1961
Umberto
GIORNATA DELL’ ANNIVERSARIO DELL’UNITÀ D’ITALIA
Comunicato del Consiglio dei ministri del 9 marzo 2012
“Il 17 marzo è una data dal forte valore simbolico per l’Italia. È in questa data che centocinquanta anni fa, nel 1861, è stato proclamato il Regno d’Italia. Il 17 marzo rappresenta quindi il punto di arrivo nel percorso dell’unificazione nazionale e, al tempo stesso, il punto di partenza del cammino verso il completamento dell’unificazione del Paese. Per queste ragioni il Consiglio dei Ministri ha istituito, su proposta del Sottosegretario alla comunicazione e all'editoria, la “Giornata dell’Anniversario dell’Unità d’Italia”, da celebrare il 17 marzo di ogni anno.
La nuova solennità civile, che quindi non comporta riduzioni degli orari negli uffici e nelle scuole, rappresenta la sintesi di un anno intenso di celebrazioni ed eventi - quello appena trascorso - durante il quale si è celebrato il Centocinquantesimo Anniversario dell’Unità d’Italia, con una vasta partecipazione della società civile e delle Istituzioni.
Crea, inoltre, un’occasione nuova per tenere viva nella società civile e nelle istituzioni la memoria dell’anniversario.
Durante la “Giornata dell’Anniversario dell’Unità d’Italia” è prevista l’organizzazione di iniziative, su tutto il territorio nazionale e, in particolare, nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle città e nei luoghi di preminente rilievo per il processo di unificazione e di costituzione dello Stato italiano.
Le iniziative comprendono giornate di studio, dibattiti e convegni scientifici, ma anche occasioni ricreative finalizzate coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini.
Dall'iniziativa non deriveranno nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.
COMUNICATO DEL CMI 426/2008 DEL 4 NOVEMBRE 2008
(...) Il CMI rinnova la sua proposta.
Il 17 marzo, giorno della proclamazione dell'Unità d'Italia e del Regno d'Italia nel 1861, non viene più festeggiato, mentre si avvicina il suo 150° anniversario, che cadrà nel 2011.
Da anni il governo ed il parlamento italiani hanno deciso che il 4 novembre, anniversario della vittoria nel 1918 della IV Guerra di Indipendenza e I Guerra Mondiale, deve essere celebrato come il Giorno dell'Unità nazionale e la Festa delle Forze Armate.
Le celebrazioni sono cadenzate da una serie di appuntamenti inderogabili, ai quali partecipano le maggiori cariche dello Stato e delle Forze Armate. Imprescindibile l'omaggio al Milite Ignoto tumulato in Roma presso l'Altare della Patria, così come la cerimonia presso il Sacrario Militare di Redipuglia.
Ma, salvo fortunate coincidenze di calendario settimanale, non è un giorno festivo.
In altri termini, non si tratta di festività nazionale.
Il 25 Aprile, invece, rimane festività nazionale in quanto "Festa della Liberazione", anche se la data non significa nulla, perché nel 1945 i combattimenti continuarono ben oltre quel giorno.
La fine del conflitto in Italia fu determinata dalla Resa di Caserta, che ebbe luogo il 29 aprile 1945 e fissò il cessate il fuoco” per il successivo 2 maggio.
Dal 2005 il 10 febbraio è dedicato al Giorno del Ricordo, cioè alle vittime infoibate. Ma non si tratta di
festività nazionale.
In nome della Storia, dell'Unità e della Pacificazione nazionali, il CMI propone di mantenere la ricorrenza del 25 Aprile, che rappresenta per una parte della popolazione un momento importante della Seconda Guerra Mondiale, così come quelle del 10 febbraio e del 4 novembre, che generalmente cadono in un giorno feriale.
Ma propone anche di rendere festivo, dal 2011, il 17 marzo, che rappresenta il vero momento d’aggregazione della storia patria, perché ricorda il giorno in cui una semplice entità geografica divenne finalmente uno Stato unificato: l’Italia.