Azione di guerra 8 - 9 Giugno 1915
Le importanti riforme attuate dallo Stato Maggiore di Vittorio Emanuele II per riconvertire la vecchia Armata Sarda nel primo Esercito Italiano, iniziarono appena conclusa la seconda guerra di indipendenza, alla fine del 1859.
Il piccolo esercito regionale del Re di Sardegna non era più sufficiente ad assolvere i complessi compiti che invece avrebbe dovuto affrontare il nuovo esercito a base
nazionale.
Le operazioni di riunione, di tutte le forze militari disponibili nel paese iniziarono negli ultimi mesi del 1859 concludendo una prima fase organizzativa nel marzo del 1861; infatti fu
allora che, con nota n. 76 del 4 maggio 1861, il Ministro Fanti "rende noto a tutte la Autorità, Corpi ed Uffici militari che d'ora in poi il Regio Esercito dovrà prendere il nome di
Esercito Italiano, rimanendo abolita l'antica denominazione d'Armata Sarda".
Prima che anche i due restanti eserciti preunitari, il Borbonico ed il Garibaldino, venissero integrati, 1'Esercito presentava una struttura basata su cinque Corpi d'Armata dei quali
quattro erano formati ognuno da tre divisioni, ciascuna con due brigate di Fanteria, due battaglioni Bersaglieri e tre batterie d'Artiglieria, più una brigata di Cavalleria su 3
reggimenti.
Fuori dai corpi d'armata c'era un'altra divisione di Cavalleria con quattro reggimenti e due batterie a cavallo.
I reggimenti di Fanteria e Cavalleria avevano rispettivamente ordinati su quattro battaglioni/squadroni.
L'Artiglieria comprendeva un totale di otto reggimenti di cui il 1° era di pontieri e operai, il 2°, 3° e 4°, appartenevano all'artiglieria da piazza, su 12 compagnie ciascuno, il 5°, 6°,
7° ed 8°, erano "da campagna" con 12 batterie ciascuno.
Le batterie a cavallo erano parte del 5° reggimento.
Il Genio venne ordinato su due reggimenti di 16 compagnie ciascuno.
PRIMA DELLA GRANDE GUERRA
LA TRIPLICE ALLEANZA
Nel 1882 l’Italia aveva firmato con la Germania e l’Austria-Ungheria il patto della Triplice Alleanza, imperniato sul contenimento della potenza francese.
Aveva poi sottoscritto con le altre nazioni contraenti una convenzione militare (1888), in ragione della quale avrebbe concorso allo sforzo militare dell’alleato tedesco con il dispiegamento, sull'ipotetico teatro di guerra alsaziano, di cinque corpi d’armata e di due divisioni di cavalleria: una parte cospicua della forza militare mobilitata.
A cavallo tra i due secoli, fattori nuovi mutarono il carattere della ventennale alleanza.
L’aggressivo profilo della politica estera germanica e le esplicite brame austro-ungariche nella penisola balcanica si accompagnarono alla freddezza crescente dei governi italiani nei confronti dei vincoli diplomatici con gli Imperi Centrali, all'autonomia dell’approccio con le altre nazioni europee.
Non cambiarono tuttavia le linee della partecipazione militare dell’Italia all'alleanza.
Nel marzo 1914 la convenzione fu rinnovata ancora, pur con una riduzione dell’apporto bellico italiano (pesavano maggiori dell’alleanza continuavano la stretta collaborazione, aggiornando le pianificazioni di guerra. L’ambiente militare italiano era peraltro pervaso da una mentalità e da una dottrina di guerra “prussofile”: i modelli operativi e l’organizzazione dell’esercito tedesco facevano scuola, in Italia (come in gran parte del vecchio e nuovo continente).
IL PERIODO DELLA NEUTRALITÀ
Perduta la partita del rischio calcolato e della guerra preventiva, nell'estate 1914 l’Europa si trovò in un conflitto generale.
La scelta del governo italiano a favore della neutralità, nei giorni dello scoppio della guerra, colse impreparato lo stato maggiore del Regio Esercito, che aveva sempre adeguato lo strumento militare alla politica della Triplice Alleanza, pur prevedendo, in ogni caso, ipotesi diverse di conflitto.
Nel drammatico luglio 1914, la morte del capo di stato maggiore generale Pollio e la scelta del nuovo comandante dell’esercito, nella figura del generale Luigi Cadorna, resero più complicata, dato il frangente, la conduzione tecnica di un apparato militare che usciva provato dalla guerra contro la Turchia e dall'occupazione della Libia.
L’impegno di Cadorna presso l’autorità politica fu dapprima all'insegna di un possibile affiancamento dei tradizionali alleati, come previsto dalla convenzione militare. Poi repentinamente mutò in
un progetto di guerra contro l’Austria, addirittura ribadito con la proposta di una mobilitazione generale prima che si avvicinasse troppo la stagione invernale.
Un orientamento così contraddittorio rispondeva all'altalenante politica estera italiana, scissa tra una realistica neutralità e un desiderio d’azione non ancora chiaramente indirizzato, e riproponeva le consuete difficoltà di rapporto tra la più alta autorità militare e il potere politico.
Nel frattempo, il quadro della guerra tra le nazioni smentiva tutte le dottrine consolidate dalla fine del conflitto franco-prussiano (1870-71) in poi. Lo scontro tra gli eserciti, com’era stato immaginato dal conformistico pensiero militare europeo, si fondava sul modello della guerra offensiva, breve, organizzata attraverso oliate procedure di mobilitazione, concentrazione e schieramento delle forze e concretata in una battaglia campale, risolutiva (una nuova Sadowa, o una Sedan).
I meccanismi economici degli stati moderni, si diceva, non avrebbero consentito una guerra di lunga durata. Invece, l’orizzonte di una vittoria rapida e conclusiva si trasformò rapidamente in una confusa stabilizzazione dei fronti, soprattutto ad Occidente, e nell’inizio della “guerra di posizione”.
I PIANI MILITARI
I PREPARATIVI DI CADORNA
Nell’autunno del 1914 l’indirizzo della politica estera italiana lasciava ormai profilare il rovesciamento delle alleanze. Avendo rinunciato ai disegni offensivi entro l’anno, Cadorna dispose i preparativi militari per la primavera successiva, rimanendo fedele al piano elaborato sin dalla fine dell’agosto 1914: difensiva attiva sulla linea all’estremo nord-occidentale del confine con l’Austria; operazioni di settore contro il saliente trentino; offensiva strategica nel Goriziano e sul Carso, con azione di copertura lungo l’asse Tarvisio-Villach, per colpire lo schieramento austro-ungarico nella valle della Sava, tra Kranj e Lubiana, mediante i criteri della guerra manovrata.
Le condizioni dell’esercito italiano non erano quelle, precarie, che una certa retorica nazionalista, critica nei confronti della “Italietta giolittiana”, ha poi cercato di dipingere.
La durata inaspettata delle operazioni in Libia e l’impegno in Albania incidevano, è vero, sull'opera di rinnovamento tecnico e sull’organico, ma l’efficienza e la solidità d’assieme dell’apparato militare erano un dato di fatto.
L’operato di Cadorna fu volto, durante la neutralità, a ripristinare le dotazioni di materiali ed equipaggiamenti, a revisionare il meccanismo della mobilitazione e della radunata, ad incrementare il numero degli ufficiali, a rendere diffuse le proprie dottrine d’impiego nell'addestramento tattico.
La circolare Attacco frontale e ammaestramento tattico del febbraio 1915, frutto di un pensiero condiviso, che faceva breccia anche tra gli altri responsabili militari europei, ben poco concedeva agli aspetti significativi della guerra europea di posizione, come il dominio dell’artiglieria, e imponeva in senso rigidamente dottrinario l’azione frontale, a successione di ondate (“un’azione contro un fianco si risolve in un’azione frontale quando l’avversario abbia spostato le sue riserve per fronteggiarla”).
LE CONTROMISURE DI CONRAD
Proseguiva intanto lo sforzo bellico dell’esercito austro-ungarico sul fronte russo e su quello serbo, senza esiti risolutivi. La frontiera con l’Italia era vigilata da forze raccogliticce - rese più esigue dalle richieste del fronte - comandate dal generale Rohr, cui era stato affidato l’incarico di provvedere al rafforzamento delle difese. Quando apparvero certi gli intenti italiani nei confronti della Duplice Monarchia, tra l’aprile e il maggio 1915, vennero accelerati, in una corsa contro il tempo, i lavori per consolidare le fortificazioni sulla linea dell’Isonzo, ancora ampiamente sguarnita.
Il comandante in capo asburgico, Franz Conrad von Hötzendorf, aveva deciso di resistere, anche per motivi di opportunità politica e di morale interno, lungo la linea più prossima al confine del 1866, per ritardare l’avanzata italiana. Avrebbe poi affrontato - mantenendo aperte diverse soluzioni operative - la prevista irruzione nella valle della Sava con una massa di riserva austro-tedesca.
Furono rapidamente fortificati i rilievi nell'alto e nel medio Isonzo, le alture attorno a Gorizia, il ciglione carsico:
si cercava così di completare in direzione del mare il confine militare alpino dallo Stelvio alla Carnia.
Le scarse forze di copertura vennero accresciute con truppe prelevate da altri settori. Soltanto dalla fine di maggio alcune divisioni veterane cominciarono ad affluire dal fronte serbo, prendendo posizione tra Tolmino e la fascia costiera.
Nel frattempo, pur permanendo invariate le finalità strategiche della puntata verso Lubiana, il piano di Cadorna aveva assunto il carattere di una manovra che doveva partire dalla sinistra dello schieramento (4ª armata, il cui ruolo offensivo verso il saliente del Trentino era stato accresciuto) per poi progressivamente impegnare gli austriaci sulla linea dell’Isonzo (2ª e 3ª armata). Si trattava di una manovra troppo ampia, che allargava e moltiplicava
gli obiettivi militari, e che, per avere qualche possibilità di riuscita, avrebbe dovuto poter contare sul completamento e dislocazione delle forze mobilitate, sulla totale disponibilità del parco d’artiglieria, sul sincronismo delle operazioni. Ciò non fu.
IL GIUDIZIO DEI MILITARI
GLI ECHI DEL CONFLITTO IN ITALIA
Nel periodo della neutralità il mondo militare, fedele al costume di estraneità alle contese politiche, non si presta alle polemiche sull'intervento, almeno non alla luce del sole. L’attenzione dell’ufficialità e del giornalismo militare è volta ad analizzare ed interpretare i fatti bellici, cercando conferme o tracce di novità nell'evoluzione delle operazioni, nel funzionamento degli apparati umani e tecnici, nell'impiego dei modelli tattici e nella strategia.
Una nota psicologica è comune ai commentatori militari: si percepisce il travaglio nel dover analizzare e interpretare una guerra “diversa”, il cui svolgimento sembra contraddire a fondo i principi della tattica militare consolidati negli ultimi decenni.
Si possono infatti avvertire, nei pareri espressi, convinzioni dure a morire e schemi intellettuali radicati quanto conformistici. In primo luogo, i commentatori militari, sminuendo la funzione della copertura, dello sfruttamento del terreno e della preparazione d’artiglieria durante il combattimento, tendono a portare all'estremo il valore delle doti morali di volontà e spirito offensivo di fronte al fuoco nemico, per il singolo come per il gruppo.
L’importanza dell’«educazione morale» (una pratica di addestramento diretta ad inculcare nel soldato una forte motivazione patriottica, la disposizione all'attacco, la capacità di affrontare il nemico senza cura delle perdite), ne esce quindi rafforzata.
Era un tema che la pedagogia militare dal 1870 in poi aveva consacrato e quasi trasformato in luogo comune, ma anche un modello che ora doveva confrontarsi con una realtà in cui la tecnica e il materiale mostravano una capacità distruttiva inaspettata e imponevano il ripensamento della conduzione tattica.
Il tema del rapporto fra impiego dei reparti e terreno, di fatto centrale nelle guerre moderne, date la potenza delle armi da fuoco, la conseguente frantumazione del teatro dello scontro e la vulnerabilità delle formazioni, non è riconosciuto nel suo giusto valore.
La superiorità dell’urto e del “morale”, lo “slancio”, lo spirito offensivo vengono confermati come valori assoluti, in piena concordanza con i dettami della precettistica ufficiale (la circolare di Cadorna).
La valorizzazione dello spirito offensivo e della motivazione morale attraversano il panorama della pubblicistica militare, al punto che molti ufficiali guardano con malcelato disagio alla stabilizzazione del fronte francese, dopo la Marna, quasi si tratti di un incidente nella storia dei conflitti, e celebrano invece la guerra di movimento in atto sul fronte orientale.
Il credito delle teorie consolidate dell’arte militare frena, così, la presa di coscienza dei mutamenti bellici, più presente soltanto negli esponenti delle armi “dotte”, artiglieria e genio.
Ciò vale per le fortificazioni permanenti e per quelle provvisorie, come i trinceramenti; per l’impiego della cavalleria, divenuto ora modesto e vulnerabile; per il significato strategico assunto dai trasporti.
Intanto, valutazioni riservate sulla guerra in corso, realistiche ma inascoltate, giungevano allo stato maggiore dai nostri attaché militari di Berlino e Parigi.
Anche presso i responsabili dell’esercito, tuttavia, i nuovi sviluppi del conflitto vennero sottovalutati.
IL CLIMA CULTURALE DELL’ATTESA
PRESUPPOSTI OTTIMISTICI: I GIOVANI EVERSORI
Il clima favorevole ed entusiasta neo confronti della guerra, diffuso in Italia e, in generale, in Europa era dovuto, almeno in parte, all'atteggiamento degli intellettuali, che si erano fatti tramite di una visione positiva della guerra come farmaco dei mali della nazione.
In occasione di tutti i conflitti, a partire dalla guerra russo-giapponese del 1904, si erano manifestati auspici affinché questo non fosse che l’inizio di quella grande conflagrazione europea che avrebbe dovuto provocare il rinnovamento delle strutture e delle élite politiche, colpevoli, agli occhi dei giovani esponenti di queste tendenze culturali, delle staticità della situazione politico sociale e inadeguate a governare le grandi trasformazioni in atto.
Corradini, Papini, i futuristi, sebbene con toni diversi esaltavano la guerra come “sola igiene del mondo”, selezione biologica dei più forti, nella quale la “splendida belva umana” si congiunge alle più raffinate tecnologie moderne.
In questi atteggiamenti si coagulano il vitalismo, il superminimo, il disprezzo per le masse, l’aggressività imperialistica, dunque oggettivamente tali posizioni finiscono per essere funzionali agli interessi delle classi dirigenti più retrive.
I MORALISTI
C’era anche una tendenza diversa, che tuttavia finì per concorrere anch'essa alla diffusione di questa mentalità favorevole alla guerra: gli scrittori della “Voce” vedevano in essa l’occasione per una rigenerazione morale e per l’affermazione dei valori di fratellanza (Jahier); a queste posizioni si possono ascrivere anche alcuni degli intellettuali esponenti delle terre “irredente” come Slataper e Stuparich, per i quali l’impegno esistenziale si attua anche nell'azione diretta e nella partecipazione personale al conflitto.
La guerra per altro diventa per alcuni intellettuali l’occasione per trovare una giustificazione alla propria esistenza (come affermazione individuale o come abnegazione costituita da un desiderio di regressione e di annullamento in gruppo di uguali disposti all'esecuzione degli ordini per una causa comune).
D’ANNUNZIO E LE POSIZIONI DEGLI INTELLETTUALI SUL FRONTE OPPOSTO
Un caso a parte è rappresentato da D’Annunzio, che concentra nella sua opera temi, miti e finalità derivanti sia dal piano letterario, sia da quello, più utilitaristico, della propaganda degli obiettivi, per quanto velleitari, di gruppi politici ed economici.Anche in campo opposto si registrarono
posizioni simili, dalle illusioni di Thomas Mann alle descrizioni dell’entusiasmo diffuso nella società austriaca di Stefan Zweig.
Questi atteggiamenti, naturalmente i più sinceri, erano in larga misura dovuti alla sottovalutazione della realtà bellica e, in particolare, dell’irrompere delle tecnologie moderne nella pratica militare: era facile sognare avventure cavalleresche ed eroiche, alimentate dalle frustrazioni subite dagli intellettuali, ma anche dai ceti medi di fronte all’impossibilità di un’ascesa sociale sempre più desiderata. Ma la realtà poi si incaricò di deludere rapidamente tali sogni, rivelandosi, quasi subito, per quello che sarà per tutta la durata del conflitto: un’insopportabile prolungarsi di una monotona vita di trincea, in condizioni di estrema sofferenza, intervallata dagli assurdi e inutili
attacchi contro le posizioni nemiche, dove la condizione dei singoli si rivelava come una prosecuzione della vita civile, dominata dall’estraneità, dalla burocratizzazione, dall’anonimato.
La mitologia eroica può sopravvivere solo per pochi privilegiati:
D’Annunzio che combatte una propria guerra romantica con le armi moderne, aerei e motosiluranti.
GLI SLOVENI
Il discorso riguardante gli sloveni si colloca in una fase diversa da quella che si riferisce alla realtà italiana. Intanto non si può dimenticare che questo popolo era ancora parte integrante dell’impero austro-ungarico e che lo spazio degli slavi del sud era percorso dai complessi intrecci dei nazionalismi e da posizioni molto diversificate riguardo alle prospettive future, nel caso di un crollo del secolare impero degli Absburgo.
Gli sloveni furono coinvolti nel conflitto fin dal ’14 e dovettero fare i conti con il clima seguito all'assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, che molti ritenevano un sostenitore di una riforma in senso trilaterale della monarchia, che avrebbe sicuramente favorito l’elemento slavo.
I CATTOLICI
Particolarmente “patriottici” furono i cattolici, che videro nell’attentato di Sarajevo il motivo per attaccare i serbi; è ben vero che non tutte le forze politiche si schierarono in modo così deciso: coloro che avevano a lungo coltivato il sogno jugoslavo non potevano rinnegarlo d’un tratto, ma al momento dell’entrata in guerra le posizioni si andarono unificando, arrivando a coinvolgere anche i socialdemocratici.
Inoltre si deve considerare anche il complesso problema dei rapporti con l’elemento italiano, che era considerato dagli sloveni come il concorrente locale più pericoloso; lo stato delle relazioni tra le due minoranze risultò evidente quando elementi di estrazione italiana plaudirono agli interventi repressivi delle autorità austriache contro quegli sloveni che potevano essere ritenuti contrari alla guerra.
LE PROSPETTIVE NAZIONALI
C’è da tenere presente che la posizione geopolitica del territorio abitato dagli sloveni appariva particolarmente difficile, in quanto sia nel caso di una vittoria degli imperi centrali, sia, quando la guerra si estese all’Italia, di una prevalenza di quest’ultima, comunque si sarebbe posta la questione del ruolo che sarebbe stato loro riservato dai vincitori.
Certo il pericolo più imminente apparve quello italiano, anche perché l’irredentismo e il nazionalismo diffusi da esponenti come D’Annunzio sembrava mirare a un’espansione verso i Balcani e lungo il litorale adriatico orientale.
L’intervento italiano a fianco dell’Intesa non fu imprevisto, d’altronde fin dal ‘14 erano iniziati i lavori di fortificazione sul Carso e nella valle dell’Isonzo, che non lasciavano molti dubbi sugli avvenimenti che sarebbero seguiti di lì a poco.
LA POLITICA ABSBURGICA VERSO GLI SLOVENI NELL'IMMINENZA DELLA GUERRA
Allo scoppio delle ostilità le autorità absburgiche fecero leva anche sui timori degli sloveni nei confronti delle mire irredentistiche per incitare le popolazioni di confine alla difesa di quello che pareva essere diventato l’estremo baluardo contro la conquista italiana, l’Isonzo.
Jože Pirjevec ricorda la strumentalizzazione che gli austriaco effettuarono dei versi di Simon Gregorčič dedicati al Soča (l’Isonzo), nei quali invitava il fiume ad allearsi al popolo sloveno contro gli invasori.
LA DISILLUSIONE
“SBALZO INIZIALE” E PRIME OFFENSIVE
Nell’ultima settimana del maggio 1915, mentre erano ancora in fase di completamento la radunata e lo schieramento dei reparti, l’esercito italiano si mosse con grande cautela e lentezza su tutto l’arco del confine con l’Austria, dal saliente trentino (contro le difese e fortificazioni alpine austriache), alla Carnia e all’alto Isonzo (per aggirare la testa di ponte di Tolmino), al medio e basso corso del fiume. Furono conseguiti soltanto successi parziali.
Nella zona del basso Isontino, dove gli apprestamenti difensivi avversari più si scostavano dalla frontiera, le operazioni di approccio, condotte anche in questo caso con titubanza, furono rallentate dagli allagamenti provocati ad arte dalle truppe imperiali.
La fascia della bassa pianura e l’area pedecarsica - con le cittadine di Sagrado, Gradisca e Monfalcone - vennero occupate entro la prima decade di giugno.
Esaurita la fase di contatto, il “primo sbalzo offensivo”, ebbe inizio l’investimento delle difese austriache poste sul ciglione dell’altopiano (da Monfalcone alla piazza trincerata di Gorizia) e sui rilievi del medio Isonzo. Operazioni circoscritte vennero condotte sulle montagne dell’alto Isonzo.
Gli imperiali avevano quasi ovunque completato, seppure in maniera disomogenea e tra molte apprensioni, le fortificazioni campali. Sulla linea dell’Isonzo, dal Monte Canin al mare, una forza italiana composta da 17 divisioni e da altre unità diversamente inquadrate impegnò l’avversario.
Di rincalzo, un contingente di riserva di dieci divisioni (di cui tre di cavalleria) era pronto a sfruttare il successo (Ceva, 1981). A tentare di parare il colpo il comando asburgico stava schierando la neo-costituita 5ª armata del generale Svetozar Boroević, formata da otto divisioni (Schindler, 2002).
I ritardi di Cadorna ne avevano consentito il dispiegamento.
L’indirizzo strategico del Comando Supremo prevedeva lo sfondamento nella valle del Vipacco. Tra la fine di giugno e i primi giorni di dicembre del 1915, perciò, con quattro sanguinose offensive l’esercito italiano cercò di intaccare e scardinare, muovendo dalla sinistra o dalla destra del proprio schieramento sull’Isonzo, le difese nemiche ancorate agli ostacoli naturali del Podgora, di Oslavia, del Sabotino, del San Michele, delle alture del Carso monfalconese, per aprirsi la strada verso Trieste e Lubiana.
L’esito degli attacchi, allorché le operazioni vennero sospese per la pausa invernale, fu da considerarsi sostanzialmente sterile.
Gli italiani erano giunti sul crinale dell’altopiano carsico, in qualche punto anzi erano riusciti a far arretrare le linee austriache verso l’interno, avevano compiuto qualche progresso nella angusta testa di ponte di Plava, ma per arenarsi in una guerra di attrito logorante e inconcludente.
Lo sforzo era costato al Regio Esercito oltre 200.000 fra morti, dispersi e feriti.
Le perdite austro-ungariche assommavano a quasi 150.000 uomini.
RAGIONI ED EFFETTI DEL MANCATO SFONDAMENTO
Trinceramenti, mitragliatrici, artiglierie avevano mostrato un potenziale distruttivo enorme, esaltando le capacità difensive degli austro-ungarici (che d'altronde non rinunciarono ad agire con efficaci puntate di alleggerimento).
Ma da parte italiana le lentezze della radunata, la scarsità delle informazioni durante il primo sbalzo, e, poi, in sede tattica, l’impiego poco coordinato e concentrato dell’artiglieria, le azioni prive di collegamento, la densità delle formazioni negli assalti frontali avevano fatto risaltare i ritardi tecnico -organizzativi e il conformismo della conduzione militare, aprendo nelle coscienze individuali domande non facilmente eludibili sull'inutilità del sacrificio.
Certo, lo spirito pubblico, sottoposto alle suggestioni della propaganda e ai rigori della censura, ancora non ne soffriva, ma le incrinature sulle ragioni e sulle finalità della guerra cominciavano ad emergere.
Iniziava anche nell’esercito italiano una crisi, morale e materiale, che gli altri paesi europei avevano già conosciuto e non ancora superato. Sul versante opposto, le componenti slave dell’esercito austro-ungarico, che non avevano sempre dato prova di saldezza sui fronti balcanico ed orientale, rivelavano una strenua capacità di opporsi agli italiani, favorita da un accorto indirizzo propagandistico che presentava come espansionistico ed antislavo l’intervento dell’ex “alleato meridionale”.
In tempo di pace l’esercito italiano era suddiviso in tre forze:
Esercito in servizio permanente:
formato dalle classi di età chiamate
alla leva obbligatoria della durata di 2 anni.
All’atto del congedo si entrava a far parte
della:
Milizia mobile:
formata dai congedati ancora in vigore fisico ma già con vincoli ed interessi nella vita privata; poteva contare sulla carta su 900 compagnie di fanteria, 60 di artiglieria e 10 di genio.
Durante la guerra del 1915-18 la milizia mobile arrivò ad avere circa 10 divisioni, rappresentando così un vero e proprio secondo esercito subito alle spalle della prima linea del fronte.
Milizia territoriale:
comprendeva i più anziani, era prevalentemente adibita alle scorte dei prigionieri di guerra e solo eccezionalmente collaborava alle azioni dell'esercito (così sarà nel 1916 quando furono proprio i “vecchi” della territoriale a fermare gli austriaci sul monte Cengio).
In caso di guerra, con la mobilitazione generale,
l’esercito permanente poteva arrivare a 725.000 effettivi, di cui 14.000 ufficiali di carriera, 16.000 fra ausiliari e di complemento, 17.000 graduati, 25.000 carabinieri, 653.000 soldati. Con il
richiamo della milizia mobile si arrivava ad un totale di 1.393.000 uomini in grigio verde, con la milizia territoriale a circa 2.000.000.
Alla Prima Guerra Mondiale parteciparono cittadini
di sesso maschile nati tra il 1874 ed il 1899, ed anche volontari di classi più vecchie o più giovani.
BREVE RIASSUNTO DELLA GRANDE GUERRA 1914-1918
I PRODROMI
Nel 1914 nulla poteva evitare la guerra.
A causa di un eccezionale sviluppo industriale erano a disposizione di quasi tutte le nazione europee grandissime quantità di armi micidiali e di flotte militari sempre piu' agguerrite.
Francia e Inghilterra volevano bloccare l'espansionismo tedesco e la sua crescente, inarrestabile egemonia industriale e scientifica.
La Francia voleva la rivincita dopo i fatti d'arme del 1870 e voleva riprendersi l'Alsazia e la Lorena.
L'Austria e la Russia speravano di risolvere le loro difficoltà con una politica estera particolarmente aggressiva ed espansionistica.
IL PRETESTO DI SARAJEVO
La scintilla della guerra scocco' il 28 giugno 1914, a Sarajevo, la capitale bosniaca.
In un attentato, di matrice estremistica, persero la vita il granduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria, e la consorte. L'Austria decise unilateralmente di considerare la Serbia responsabile dell'attentato perché essa dava rifugio agli indipendentisti slavi.
Si voleva dare un buon esempio di severità a tutti i popoli dell'impero e di porre termine ai numerosi moti rivoluzionari e sovversivi della penisola balcanica, riducendo praticamente al silenzio la Serbia.
I generali Austriaci prevedevano una rapida e semplice campagna militare priva di ostacoli significativi.
La Germania sognava la formazione di un grande stato formato da tutte le nazioni di lingua tedesca.
L'impero Russo, a sua volta, ambiva a riunire sotto di sé tutti i popoli di lingua slava, quindi scese in campo in aiuto della Serbia ordinando la mobilitazione del proprio esercito.
Appena l'Austria dichiarò guerra alla Serbia fu messo in moto l'automatismo delle alleanze e delle mobilitazioni: in pochi giorni ebbero luogo le dichiarazioni di guerra.
A fianco di Germania e Austria si schierarono Turchia e Bulgaria, il Giappone e la Romania si schierarono a fianco della Triplice Intesa.
Socialisti e cattolici si schierarono decisamente per la pace, ma non furono presi in considerazione.
Non fu presa in considerazione neanche la durissima condanna pronunciata dal papa Benedetto XV, che considerò la guerra come il risultato dell'egoismo, del materialismo e della mancanza di grandi valori morali e spirituali.
Soltanto l'Italia di Giolitti mantenne la calma: la Triplice Alleanza era un patto difensivo, e siccome Austria e Germania non erano state aggredite, ma avevano dichiarato guerra per prime, l'Italia sostenne di non avere alcun obbligo di schierarsi al loro fianco.
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PIANI DI INVASIONE CONCRETIZZATI
Da molti anni gli stati maggiori di Francia e Germania si stavano preparando a una guerra che ritenevano inevitabile.
La Francia aveva fortificato il confine con la Germania, quest'ultima invece aveva pronti i piani per un attacco fulmineo che portasse le sue truppe a Parigi in poco tempo, così come era successo nel 1870. Appena dichiarata la guerra ed iniziata la mobilitazione il grosso delle truppe francesi furono ammassate lungo il confine tedesco.
La mobilitazione delle forze russe avveniva invece molto lentamente per la scarsezza di mezzi di trasporto e l'insufficienza di strade e ferrovie.
Così la Germania pensò di riversare tutte le sue forze contro la Francia, di sconfiggerla rapidamente e poi rivolgersi contro la Russia sul fronte orientale. Per poter effettuare questo piano di guerra lampo la Germania doveva evitare le potenti fortificazioni francesi costruite sul confine: perciò l'esercito tedesco invase il Belgio, che era neutrale, per assalire le truppe francesi alle spalle.
I tedeschi, dopo un mese di aspri combattimenti, giunsero a quaranta chilometri da Parigi, ma sul fiume Marna furono bloccati e respinti alla fine di una battaglia durissima.
La non prevista guerra di posizione Fallisce ben presto l'illusione della guerra lampo.
Questo succede perché scavando delle trincee e attendendo l'assalto del nemico il difensore è fortemente avvantaggiato sull'attaccante.
Gli assalti, infatti, sono ancora effettuate dal fante armato di fucile che si scaglia contro le mitragliatrici nemiche sistemate sui bordi della trincea o dietro un riparo ben munito.
Dopo la battaglia della Marna le truppe tedesche e franco-britanniche si fronteggiarono lungo una linea che andava dalla Manica alla Svizzera.
La guerra di movimento si trasformò in guerra di posizione.
I soldati furono costretti a vivere dentro trincee lunghe centinaia di chilometri, nella sporcizia e sotto le intemperie, su un fronte praticamente fermo.
LA GERMANIA ATTACCA SUL FRONTE ORIENTALE
Nel frattempo a oriente l'esercito tedesco riuscì a occupare la Polonia dopo due vittorie ottenute presso i laghi Masuri e Tannenberg.
Il fronte austro-russo, a sud, si estendeva per centinaia di chilometri, senza alcun avanzamento da parte dei
contendenti.
Gli stati europei si gettarono nell'avventura della guerra sottovalutandone completamente i costi economici ed umani.
Essi affrontarono quasi con leggerezza la tragica avventura poiché pensavano a una guerra breve come quelle che si erano combattute nell'800.
Anzi ritenevano che la potenza delle nuove armi avrebbero ancora di più accelerato i tempi della conclusione.
Altro errore di prospettiva fu quello di pensare che la supremazia in Europa avrebbe avuto di conseguenza il dominio sul mondo, ma questo calcolo ignorava la nascita di due nuove superpotenze: gli USA e il Giappone, le quali uscirono fortemente rafforzate dal conflitto, mentre l'Europa ne uscì gravemente indebolita sia per le perdite umane che per i costi economici.
Si immaginava, infine, questa guerra come le altre precedenti, con vittime, costi e conseguenze gravi, ma in qualche modo limitate e prevedibili: con dei vincitori che avrebbero acquistato nuovi territori e maggiori mercati e degli sconfitti che li avrebbero perduti.
INTERVENTISMO E NEUTRALISMO ITALIANO
La maggior parte degli Italiani era per non entrare in guerra a fianco degli Austriaci che occupavano ancora i territori di Trento e Trieste.
Predominante era in Italia il partito dei neutralisti, ma la minoranza interventista era comunque dell'avviso di cambiare alleanza e di schierarsi contro l'Austria.
I cattolici e buona parte dei socialisti erano contro la guerra.
I socialisti sostenevano che la guerra era un affare tra capitalisti che lottavano per il predominio imperialista dell'Europa, mentre i proletari di tutto il mondo dovevano sentirsi fratelli.
Giolitti, che poco tempo prima aveva lasciato la presidenza del consiglio, si era impegnato per mantenere la neutralità italiana.
Egli era sicuro che gran parte del territorio italiano ancora occupato dall'Austria ("parecchio", come lui stesso affermò) poteva essere ottenuto mediante trattative diplomatiche.
Le forze interne ed esterne che spingevano l'Italia verso la guerra erano molto forti.
In La grande industria vedeva nella guerra un'occasione unica e grandiosa di espansione economica grazie alle forniture per l'esercito.
I maggiori quotidiani italiani cavalcavano le tesi dei nazionalisti e attaccavano in maniera violenta i neutralisti fino a definire traditore Giolitti.
Molte manifestazioni di piazza si svolgevano a favore della guerra e molti interventisti tra cui Gabriele D'Annunzio vi pronunciavano infuocati discorsi patriottici.
Anche dall'estero le spinte non mancavano: l'Italia importava il 90% del suo carbone dall'Inghilterra e dipendeva da Inghilterra e Francia anche per altre importanti materie prime: questo era un formidabile strumento di pressione nelle mani dell'Intesa.
Nel mese di aprile 1915 il governo italiano firmò a Londra un patto segreto nel quale l'Italia s'impegnava ad entrare in guerra con Francia e Inghilterra.
I giornali sottovalutavano i costi e le conseguenze della guerra.
Il RE era decisamente favorevole alla guerra.
Il Parlamento, ancora contrario, fu praticamente obbligato ad approvare il patto di Londra. Il 24 maggio 1915 anche l'Italia entrò in guerra a fianco dell'Intesa.
IL PRIMO ANNO SUL FRONTE ITALIANO
Il
fronte italiano costituiva una linea che congiungeva il lago di Garda con Gorizia attraversando l'altopiano di Asiago, i monti del Cadore e della Carnia fino all'altopiano
della Bainsizza e ai monti Sabotino e San Michele.
Anche se non mancavano i volontari la grandissima maggioranza dei militari fu costituita dai richiamati provenienti soprattutto dalle regioni meridionali.
Alcune brigate divennero celebri come la Brigata Sassari, la Trapani, Cosenza, Catanzaro ecc. Anche gli Italiani furono bloccati in una guerra di trincea
contrassegnata da lunghe pause alternate ad assalti ferocissimi e inutili che comportavano ogni volta migliaia di vittime.
Il solo risultato positivo si ebbe nel mese di agosto 1916 con la conquista di Gorizia, avvenuta dopo che i soldati italiani avevano respinto
la cosiddetta "spedizione punitiva" (Strafeexpedition) degli Austriaci
sull'altipiano di Asiago.
Nel solo primo anno di guerra gli Italiani persero 250.000 uomini tra morti, feriti e dispersi.
Il ANNO 1916
La guerra di trincea rendeva obbligatori fronti lunghi migliaia di chilometri che occupavano milioni di combattenti.
Tutti gli stati belligeranti furono costretti ad adottare l'arruolamento obbligatorio.
Milioni di donne furono impiegate nelle fabbriche addette alla produzione di materiale militare.
Le due grandi e sanguinosissime battaglie combattute in Francia intorno alla fortezza di Verdun e sulla Somme non servirono a far avanzare di un metro le linee dei contendenti. Avviene l'esordio, ancora non decisivo per gli esiti della guerra, di nuove armi:
gli aerei, i carri armati, i gas e i lanciafiamme.
Gli aerei inizialmente combattevano tra loro e mitragliavano le trincee dall'alto, rarissimamente bombardarono le città.
SUL MARE
Gli inglesi, con la loro lotta, bloccavano i porti tedeschi per impedire i rifornimenti.
Una sola battaglia navale fu combattuta nel 1916 tra la flotta inglese e quella tedesca.
Gli Inglesi persero 3 corazzate e 3 incrociatori, i tedeschi persero 2 corazzate e 4 incrociatori.
Alla fine della battaglia la flotta tedesca rientrò nei porti di partenza.
Entrambi i contendenti si dichiararono vincitori, ma il controllo dei mari continuò a rimanere nelle mani degli Inglesi.
I tedeschi furono pesantemente danneggiati dal blocco navale inglese.
Dopo la battaglia dello Jutland i tedeschi combatterono la guerra sui mari solo con i sottomarini e con le navi corsare.
Vittime di questi sottomarini furono le navi di rifornimenti provenienti dagli USA e destinati all'Inghilterra.
Questo sarà uno dei motivi che alla lunga provocherà l'intervento diretto degli Stati Uniti nella guerra.
ANNO 1917: L'ANNO DELLA CRISI
Nel 1917 l'orrendo macello era ormai sotto gli occhi di tutti e non si vedevano sbocchi. Niente poteva giustificare tante stragi e sofferenze.
Il Papa Benedetto XV continuava a lanciare appelli per la pace e per far finire la guerra, definita vergogna dell'Umanità.
La popolazione europea era stanca per la fame e le sofferenze, inoltre aveva visto le migliaia di profughi tornato a casa orrendamente mutilati.
Mancavano i contadini nei campi e gli operai nelle fabbriche, le donne, i vecchi e i bambini dovevano occuparsi di tutto.
Non c'era una famiglia che non lamentasse qualche vittima della guerra.
Mancavano quasi del tutto lo zucchero, il burro, la carne.
Il pane, la pasta, la verdura vennero razionati.
Al malcontento dei familiari dei soldati si univa il morale bassissimo di questi ultimi che trascorrevano il tempo nell'attesa di sanguinosi assalti di cui non si scorgeva lo scopo visto che non ottenevano alcun risultato.
Numerosi furono gli episodi di diserzione, di automutilazione e di ammutinamento, molti giovani richiamati si rendevano colpevoli di renitenza alla leva.
Numerosi furono i processi e le fucilazioni di militari.
LA RUSSIA SI RITIRA
In Russia, nella primavera del 17 scoppiarono diverse rivolte che costrinsero lo Zar Nicola II all'abdicazione.
L'esercito stanco e sfiduciato si sfaldava, i soldati a milioni tornavano a casa.
Il partito bolscevico di Lenin prendeva il potere e Lenin firmava l'armistizio di Brest-Litovsk (dicembre 1917) e poi il trattato di pace con la Germania.
La Russia usciva così dal conflitto perdendo Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Finlandia.
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GLI USA IN GUERRA
Il ritiro della Russia sembrava aver dato un duro colpo alle speranze di vittoria del fronte anglo-francese-italiano.
Germania e Austria riversarono contro il fronte francese e quello italiano le truppe rese libere dal disimpegno della Russia.
A questo punto avviene l'ingresso decisivo nel conflitto degli Stati Uniti d'America.
Gli Americani erano rimasti molto colpiti dagli affondamenti delle navi civili operate dai tedeschi e in particolare dall'affondamento del transatlantico Lusitania che aveva provocato la morte di 124 cittadini americani.
Nel mese di aprile del 1917 il governo USA dichiarò guerra alla Germania: questo comportò l'arrivo in Europa non solo di truppe fresche, ma di viveri, materiali, prestiti.
L'esercito italiano era logorato dopo 12 inutili assalti sul fiume Isonzo.
Il comando Austriaco scaglia contro gli Italiani le truppe che tornavano dal fronte orientale. L'attacco sfondò lo schieramento italiano a Caporetto tra il 24 e il 30 ottobre 1917.
Tutto il fronte italiano dovette ritirarsi per evitare che parte delle truppe rimanessero accerchiate o isolate.
Tale ritirata, non essendo stata programmata, si trasformò in una disfatta.
Furono perse intere divisioni e una quantità ingente di materiali.
Migliaia furono i profughi civili costretti ad abbandonare le loro case.
Per fortuna, quando tutto sembrava perduto, il paese seppe reagire con fermezza.
Il generale Armando Diaz sostituì il generale Cadorna, a Roma fu costituito un governo di solidarietà nazionale presieduto da Vittorio Emanuele Orlando.
L'intero parlamento appoggiò questo governo, l'esercito fu riorganizzato rapidamente, l'avanzata austriaca fu bloccata sul Piave, sull'altipiano Asiago e sul Monte Grappa.
Ormai per l'Austria e la Germania non c'erano più speranze.
ANNO 1918 COLLASSO ECONOMICO DI AUSTRIA E GERMANIA
Dal punto di vista esclusivamente militare le cose per Austria e Germania non andavano male: le truppe austriache erano avanzate fino al Piave, la Russia si era ritirata con gravi perdete territoriali, il fronte occidentale era fermo.
Ma era dal punto di vista delle risorse che Austria e Germania non ce la facevano più: le campagne erano state abbandonate, le materie prime mancavano, il razionamento alimentare aveva colpito anche le truppe.
Senza viveri e rifornimenti Austriaci e Tedeschi furono costretti alla resa.
Azione di guerra 8 - 9 Giugno 1915
L’ordine del Comando Supremo italiano nr. 6 del giorno 7 giugno 1915, indicava come urgente il prosieguo dell’attacco al ciglione carsico da parte della 3° armata; diventava quindi necessaria l’occupazione del paese di Sagrado, sulla sponda sinistra dell’Isonzo, operazione resa più difficile per la distruzione del ponte di ferro operata dal nemico nelle prime ore di guerra.
La 2° armata doveva concorrere all’azione con uno sbalzo delle sue truppe sino alla sponda destra dell’Isonzo e un forte attacco alla linea austriaca del Podgora.
Per l’azione il Comando Supremo mise il VI Corpo
(11° e 12° divisione, brigate Pavia, Pistoia, Re, Casale) alle dipendenze della 2° armata del generale Frugoni.
Nel pomeriggio del giorno 8 giugno le brigate di
fanteria del VI Corpo iniziarono l’avvicinamento al Podgora, accolte dal tiro incrociato dell'artiglieria nemica che le obbligò a sostare ai piedi del monte.
Dalla testa di ponte di Pieris, costituita nei giorni precedenti, la 13° e 14° divisione del VII Corpo tentarono l’allargamento dell'occupazione: obiettivi Selz, Monfalcone ed il monte Sei Busi.
L’operazione fu bloccata dal nemico su tutta la
linea.
Per proseguire gli attacchi al pianoro carsico
divenne essenziale la conquista del tratto Sagrado - Redipuglia. Davanti a Sagrado la 21° divisione, sulla sponda destra appena sopra il ponte di ferro distrutto, aveva in linea la Brigata Pisa,
cui venne ordinato il guado del fiume con un forte raggruppamento per proteggere il gittamento dei ponti mobili.
Per la scarsità del materiale da ponteggio, fu deciso di utilizzare un isolotto di ghiaia al centro dell’Isonzo, 200 metri a monte del ponte di ferro, da collegare con passerelle alle sponde destra a e sinistra.
I lavori iniziarono alle 22,30 del giorno 8 e verso la mezzanotte l’isolotto venne raggiunto.
Dalle trincee un battaglione del 30° fanteria della
brigata Pisa sfilò sulla passerella prendendo posizione tra le ghiaie; alle 5 del giorno 9 giugno il ponte fu terminato e le truppe italiane occuparono la sponda sinistra, spingendosi sino alla
ferrovia.
Fu il segnale per la reazione nemica: la fanteria
austriaca attaccò i reparti della Pisa, mentre l’artiglieria prese a battere la passerella di collegamento danneggiandola gravemente.
Sotto la pressione austriaca i reparti italiani indietreggiarono sino alla riva del fiume, poi, finite le munizioni e non potendo ricevere aiuti, i superstiti raggiunsero l’isolotto di ghiaia trincerandosi alla meglio.
Solo nella notte iniziò il ripiegamento, che poté essere completato nei giorni seguenti.
La mancata conquista del paese di Sagrado ebbe come
effetto non secondario di rendere impossibile la chiusura della presa del canale Dottori; l’acqua che continuava a fuoriuscire dalle falle praticate negli argini, allagò il tratto di pianura tra
la base del pianoro del Carso e il fiume Isonzo, dove sostavano le truppe italiane passate nei giorni precedenti.
Per questo motivo la 13° divisione riprese gli
attacchi da Selz a Monfalcone con le brigate Granatieri e Messina, mentre la 14° divisione tentava l’occupazione del colle di Sant’Elia davanti a Redipuglia.
Verso mezzogiorno del giorno 9 reparti della Messina occuparono Monfalcone e le alture della rocca, mentre i Granatieri faticosamente si impossessarono della quota 61 sopra Selz.
Per l’ordine del Comando Supremo di non impegnare
energica azione davanti ad una ostinata reazione avversaria, fu ordinata la sosta ed il rafforzamento sulle posizioni raggiunte nel pomeriggio.
Più a monte, la brigata Acqui della 14° divisione,
col 17° fanteria, avvolse il Sant’Elia; causa l’inondazione e l’impossibilità di manovrare, a sera dovette poi ritirarsi sotto il tiro dell’artiglieria nemica.
L’efficace azione portata dalle brigate Granatieri e Messina della 13° divisione, costrinse i reparti austriaci a ritirarsi nelle trincee che andavano dalla quota 121 alla quota 77, la nuova prima linea comprendeva i monti Cosich e Debeli, scendeva poi verso il mare Adriatico nelle paludi del Lisert.
Monfalcone era occupata saldamente dalle truppe italiane.
La mancata conquista di Sagrado da parte della 21°
divisione (Brigata Pisa), aveva avuto riflessi negativi sui tentativi della 14° divisione per aprirsi la strada verso il monte Sei Busi, sopra il paese di Redipuglia. Ricognizioni aeree
confermarono accampamenti e truppe in marcia nella valle del Vippacco dirette al fronte dell’Isonzo. Inoltre l’allagamento andava aumentando.
Il Comando Supremo, preso atto della mancata
occupazione di Sagrado, con l’ordine di operazioni n.7 in data 11 giugno ore 23, prescrisse di 'vincere la resistenza con adeguato concentramento di forze e di mezzi, specialmente
tecnici'.
Alla 3^ armata venne ordinato di mantenere contegno
difensivo sulla fronte M.Fortin - Sagrado (XI Corpo d’armata), e procedere alla espugnazione delle posizioni nemiche sulla fronte Sagrado-Monfalcone (VII Corpo d’armata).
Cadorna ordinò pure che una robusta linea difensiva venisse organizzata lungo la linea M.Quarin- Collina di Medea -Versa- destra del Torre e dell’Isonzo (X Corpo d’armata).
L'Isonzo ha le sorgenti nel massiccio del Mangart e,
con direzione generalmente verso sud, dopo 130 chilometri di corso tortuoso sfocia in Adriatico vicino a Monfalcone.
Il bacino del fiume si sviluppa per circa tre quarti
in territorio montano, fra le gole continue e pareti a picco delle Alpi Giulie, da un lato, e le propaggini del massiccio del Canin e di monte Maggiore dall'altro.
Nella prima parte del percorso, l'Isonzo riceve le
acque del Coritenza a destra e del Tolminca e Idria a sinistra; gli unici slarghi dell'alveo sono presso le conche di Plezzo, Caporetto e Tolmino, poco oltre il fiume si insinua di nuovo tra
pareti a picco.
Nel tratto Doblar - Plava, l'approccio alle sue rive
è meno faticoso per la presenza di campi coltivati e di sentieri; a Salcano, presso Gorizia, il fiume sbocca in pianura e corre liberamente sino al mare dopo aver lambito il piede del pianoro del
Carso.
L'Isonzo costituiva per gli Austriaci una linea
naturale di difesa, solidamente appoggiata al campo trincerato di Predil in Carnia e di Gorizia; le sponde del fiume sono sempre coperte da una doppia linea di colline, poco elevate ma
scarsamente praticabili, la corrente si mantiene sempre impetuosa, e bastano poche piogge per creare piene improvvise.
Nel corso alto e medio sino a Salcano, non vi erano
possibilità di guadi sicuri e ampi per operazioni militari importanti, ciò spinse il nostro Comando Supremo a tentare lo sfondamento delle linee nemiche nei settori della 2a e 3a Armata che erano
appunto schierate, grosso modo, da Tolmino al mare.
VIDEO CHE SPIEGANO LA GRANDE GUERRA
La “Grande Guerra” svoltasi tra gli anni 1915 - 1918 è stata una delle prove più dure e rappresentative del valore dell’Esercito italiano.
Oggi, a più di ottant’anni dalla fine di tale conflitto restano ancora numerose tracce di esso nei territori dove si svolsero i combattimenti: si tratta di edifici ed opere murarie come forti, trincee, camminamenti, caverne e gallerie attrezzate, cimiteri dismessi, lapidi e iscrizioni nella pietra, e , inoltre, cippi per indicare le sepolture di soldati, armi ed oggetti di ogni genere ..
La memoria collettiva - sostenuta da sentimenti di pietà e di rispetto per i combattenti caduti in quei luoghi - cerca di sottrarre all’incuria e alla definitiva scomparsa nel flusso del tempo tali tracce, trasformandole in oggetti di interesse escursionistico, divulgativo ed educativo, soprattutto per le nuove generazioni ed al più ampio pubblico.
E’ un modo di straordinaria efficacia per “raccontare la guerra”, dove l’emozione prodotta dall’area monumentale si congiunge con l’intervento di natura didattica dell’esposizione museale.
Viene reso evidente, così, il punto di vista delle diverse parti in causa, delle nazioni e dei popoli coinvolti nel conflitto, operando nei fatti il superamento di un ormai inadeguato approccio nazionalistico o populistico, in favore del dialogo internazionale e della costruzione di una comune cultura europea, mostrando come si possa, oggi, raccontare la guerra con uno spirito di pace e collaborazione internazionale.
A titolo indicativo riportiamo una serie di schede di musei storico-militari dedicati alla alla Grande Guerra 1915-18, evidenziandone gli aspetti salienti e più utilizzabili in ambito didattico.
Si rimanda in ogni caso ai siti sull’argomento disponibili su internet :
http://it.wikipedia.org/wiki/Portale:
LINK DEL RIASSUNTO DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE
L'EUROPA È DIVISA IN DUE GRANDI BLOCCHI DI POTENZE IN ATTRITO TRA LORO PER INTERESSI ECONOMICI E MIRE ESPANSIONISTICHE, SIA NEL VECCHIO CONTINENTE, SIA PER IL POSSESSO DELLE COLONIE AFRICANE ED ASIATICHE.
I RAPPORTI TRA L'ITALIA E L'ALLEATO AUSTRIACO, NONOSTANTE GLI ACCORDI, NON ERANO PARTICOLARMENTE FELICI.
LA GIOVANISSIMA ITALIA, RIUNITA SOLO QUALCHE DECENNIO PRIMA, AMBIVA AD ANNETTERE ANCHE I TERRITORI TRENTINI E GIULIANI AGENDO DA AMPLIFICATORE DEGLI SPIRITI RISORGIMENTALI.
LA NOBILE E DECADENTE AUSTRIA, ALL'APICE DELLA SUA POTENZA, GUARDAVA CON SOSPETTO E SNOBISMO ALLO SCOMODO ALLEATO ED AVEVA MIRE ESPANSIONISTICHE NELLA PENISOLA BALCANICA.
FU A CAUSA DEL CONTRASTO TRA INGHILTERRA E GERMANIA CHE IL GOVERNO ITALIANO ASSUNSE, DI FATTO, UN ATTEGGIAMENTO INDIPENDENTE NEI CONFRONTI DEI PROPRI ALLEATI INIZIANDO UNA POLITICA DI AVVICINAMENTO A FRANCIA ED INGHILTERRA.
GRAZIE A QUESTE ABILI MOSSE POLITICHE, L'ITALIA EBBE IL BENESTARE DALL'"INTESA" PER L'OCCUPAZIONE DELLA LIBIA.
LA SITUAZIONE PORTÒ, NEL PRIMO DECENNIO DEL NOVECENTO, AD UNA GRANDIOSA CORSA AGLI ARMAMENTI, SCATENANDO TRA L'ALTRO UN NOTEVOLE BOOM ECONOMICO. LA GERMANIA ARRIVÒ A DISPORRE DEL PIÙ POTENTE ED AGGUERRITO ESERCITO DEL MONDO.
28 GIUGNO 1914
LA MICCIA CHE FECE ESPLODERE IL CONFLITTO, FU IL MORTALE ATTENTATO DI SARAJEVO ALL'EREDE AL TRONO AUSTRIACO, MA I MOTIVI PRINCIPALI POSSIAMO SINTETIZZARLI IN
CONTRASTO ANGLO-GERMANICO: PER LA POLITICA IMPERIALISTICA DI GUGLIELMO II CHE MINACCIAVA GLI INTERESSI COLONIALI INGLESI
CONTRASTO FRANCO-GERMANICO: PER IL DESIDERIO FRANCESE DI RIPRENDERSI I TERRITORI DELL'ALSAZIA E DELLA LORENA
CONTRASTO AUSTRO-RUSSO: PER LA POLITICA ESPANSIONISTICA NEI BALCANI A DANNO DEI POPOLI SLAVI, DEI QUALI LA RUSSIA SI CONSIDERAVA LA NATURALE PROTETTRICE
CONTRASTO AUSTRO-SERBO: PER L'ANNESSIONE DELLA BOSNIA E DELLA ERZEGOVNIA
CONTRASTO AUSTRO-ITALIANO: PER IL DESIDERIO ITALIANO DI RIUNIRE LE TERRE IRREDENTE
L'INVASIONE DELLA SERBIA, RIFIUTATASI DI ACCETTARE PESANTI CONDIZIONI, FU INEVITABILE.
POCO DOPO LA GERMANIA DICHIARÒ GUERRA ALLA RUSSIA E ALLA FRANCIA SUA ALLEATA. DOPO L'AGGRESSIONE DEL BELGIO, ANCHE L'INGHILTERRA SI UNÌ AGLI ALLEATI E, A CATENA, IL LONTANISSIMO GIAPPONE CHE MIRAVA AI POSSEDIMENTI TEDESCHI IN ORIENTE.
L'ITALIA, TEMPOREGGIANDO CON CAVILLI POLITICI CHE NON LA OBBLIGAVANO, NON ESSENDO AGGREDITI MA AGGRESSORI, A SCHIERARSI CON GLI SCOMODI E TEORICI ALLEATI GERMANICI, MANTENNE FINO L'ANNO SUCCESSIVO LA PROPRIA SCALPITANTE NEUTRALITÀ.
I MOVIMENTI IRREDENTISTI SI FACEVANO SEMPRE PIÙ VIVI E, RITENENDO SCIOLTO IL VINCOLO CON GLI ALLEATI, IL 24 MAGGIO 1915 DICHIARÒ GUERRA ALL'IMPERO AUSTRO-UNGARICO. L'INTERVENTO FU DI GRAN VANTAGGIO PER L'INTESA FRANCO-RUSSO-INGLESE IN QUANTO SOTTRASSE NUMEROSE TRUPPE AUSTRIACHE DAI FRONTI EUROPEI.
E' DA TENERE PRESENTE, TUTTAVIA, CHE LA PARTECIPAZIONE AL CONFLITTO, IN ITALIA, ERA PARTICOLARMENTE SENTITA SOLO DAGLI INTELLETTUALI (G.D'ANNUNZIO) MA VISTA CON MOLTO DISTACCO DALLE POPOLAZIONI, SPECIE CONTADINE.
SOLO DOPO LA DISFATTA DI CAPORETTO, 24 OTTOBRE 1917, L'ITALIA INTERA PRECIPITA NEL TERRIBILE INCUBO ACCORGENDOSI DI COLPO CHE IL RISORGIMENTO, E CON ESSO LE GUERRE DI STAMPO ANCORA MEDIOEVALE, È FINITO PER SEMPRE E SI TROVA COINVOLTA IN UNA GUERRA TOTALE.
SONO USATE TUTTE LE PIÙ MODERNE TECNOLOGIE. FANNO LA LORO COMPARSA, PER LA PRIMA VOLTA, I CARRI ARMATI, LE BOMBE A GAS, I SOMMERGIBILI E GLI AEROPLANI CHE BOMBARDANO LE GRANDI CITTÀ DELLA PIANURA COME PADOVA E VENEZIA (DISTRUTTO IL SOFFITTO DEL TIEPOLO NELLA CHIESA DEGLI SCALZI).
LA GEOGRAFIA DELL'EUROPA CHE NE USCÌ FU COMPLETAMENTE STRAVOLTA CON LA CREAZIONE DI NUOVI STATI.
L'ITALIA PAGÒ UN TRIBUTO DI 600.000 MORTI E UN NUMERO INDESCRIVIBILE DI FERITI E MUTILATI E ALTRETTANTO GLI ALTRI CONTENDENTI. LA CRISI ECONOMICA E DEMOGRAFICA SI TRASCINÒ PER ANNI E CONDUSSE POI AL FASCISMO. LA I GUERRA MONDIALE FU QUINDI UNA SVOLTA EPOCALE, DALLE ENORMI RIPERCUSSIONI PSICOLOGICHE E FILOSOFICHE.
SEGNÒ LA FINE DEL MONDO ROMANTICO E ILLUMINISTA EVOLUTOSI SULLE STRUTTURE MEDIOEVALI E, AL TEMPO STESSO, L'INIZIO DELLA GLOBALIZZAZIONE CONTEMPORANEA.
PER QUEL CHE CI RIGUARDA ANALIZZEREMO IN DETTAGLIO SOLAMENTE GLI AVVENIMENTI PRINCIPALI CHE RIGUARDANO IL TERRITORIO CHE C'INTERESSA, DOVE LE TRACCE DI QUESTO IMMANE DRAMMA SONO TUTTORA MOLTO VIVE E PROFONDE.
IL FRONTE SULL'ALTIPIANO DEL VEZZENA FU IL FULCRO DELLA PRIMA BREVE FASE DEL CONFLITTO, DENOMINATA "LA GUERRA DEI FORTI".
LA SECONDA FASE VIDE UN'IMPONENTE OFFENSIVA NEL MAGGIO 1916, LA "STRAFEXPEDITION" (SPEDIZIONE DI PRIMAVERA O PUNITIVA), DA PARTE AUSTRIACA. LO SCOPO ERA DI PUNIRE L'ITALIA PER IL PRESUNTO TRADIMENTO E CERCARE L'INVASIONE DELLA PIANURA VENETA ACCERCHIANDO IL FRONTE DEL CARSO. TRA ALTERNE VICENDE CHE SPOSTARONO IL FRONTE DELL'ALTIPIANO DI ASIAGO FINO ALLE SOGLIE DELLA PIANURA, I COMBATTIMENTI SI ATTESTARONO SUL TRISTEMENTE NOTO MONTE ORTIGARA, SUL MONTE ZEBIO E SUL MONTE PASUBIO.
DOPO LA ROTTA DI CAPORETTO E L'ARRETRAMENTO AL FIUME PIAVE, IL MONTE GRAPPA DIVENNE IL CARDINE PRINCIPALE DI TUTTA LA FASE FINALE DELLA GUERRA FINO ALLA VITTORIA A SEGUITO DELLA BATTAGLIA DI VITTORIO VENETO (24.10.1918).
L'ARMISTIZIO FU FIRMATO NELLA VILLA GIUSTI A PADOVA IL 3 NOVEMBRE 1918.
PERFINO QUESTA DATA FU MOTIVO DI POLEMICA E IMBROGLI E LA FINE EFFETTIVA DELLA GUERRA SI EBBE IL 4 NOVEMBRE.