LOCALITA' PLAVA - QUOTA 383 ( SLOVENIA )
Plava (in sloveno e friulano Plave già diviso in Plave na desnem bregu Soče] e Plave na levem bregu Soče]) è un paese della Slovenia, frazione del comune di Canale d'Isonzo.
La località, situata lungo le sponde nel medio corso dell'Isonzo, è nota storicamente per essere stata teatro di aspri scontri fra italiani ed austriaci durante la prima guerra mondiale ed è costituita anche dagli agglomerati di Vertazza (Vrtače) e Zameduie (Zamedveje).
Dopo un mese dall'inizio ufficiale della guerra, il 23 giugno 1915 il generale Cadorna lanciò la prima grande offensiva sul fronte dell'Isonzo, ribattezzata Prima Battaglia dell'Isonzo. Gli obiettivi erano diversi: la Seconda Armata avrebbe dovuto raggiungere il Monte Mrzli, il paesino di Plava e rafforzare le proprie posizioni a nord di Gorizia mentre la Terza Armata avrebbe dovuto avanzare tra Sagrado e Monfalcone.
Nei primissimi giorni di guerra sul fronte italiano gli austriaci avevano poche truppe disponibili.
Un'ampia area a ridosso del vecchio confine, reputata dagli stateghi indifendibile, fu sgombrata e i reparti furono mandati a guarnire posizioni dominanti, preparate in partenza e scelte con oculatezza studiando la natura del terreno e sfruttando al massimo i vantaggi dati dalla guerra di trincea e di posizione.
Il corso del fiume Isonzo fu scelto come linea
difensiva sulla quale aspettare l'arrivo degli italiani, fatta eccezione per le due teste di ponte di Tolmino e di Gorizia, quest'ultima composta dalle posizioni del monte Sabotino, della valle
di Oslavia e del monte Podgora.
Era quindi fondamentale per l'esercito italiano che
stava varcando i confini con l'Impero austro-ungarico riuscire a fare breccia in questa linea difensiva per approcciare al meglio le posizioni fortificate avversarie già preparate da
tempo.
Uno dei punti in cui i soldati italiani riuscirono a varcare il corso del fiume fu Plava.
Già ai primi giorni di giugno del 1915 iniziarono le operazioni che portarono le truppe del II corpo d'armata del generale Reisoli ad attaccare l'area di Plava, nel tentativo di varcare l'Isonzo e di approcciare le pendici della catena montuosa soprastante il piccolo borgo, composta da monti e postazioni che negli anni successivi furono al centro dei bollettini di guerra italiani, più e più volte attaccati senza successo:
L'operazione di passaggio del fiume su un ponte di barche, in una posizione dominata dalle alture circostanti presidiate dagli austriaci, fu un vero e proprio azzardo, ma riuscì.
Reparti delle brigate Ravenna (37° e 38°) e Forlì (43° e 44°) misero piede sulla sponda opposta dell'Isonzo dando vita ad una piccola testa di ponte.
Era molto difficile per la logistica italiana rifornire di munizioni, materiali e uomini questo piccolo fazzoletto di terreno nonchè risultava un'operazione complicatissima addirittura evacuare i feriti.
Ma la testa di ponte, nonostante i numerosi
contrattacchi austriaci, sopravvisse e addirittura, man mano, si ampliò, risultando sempre più una minaccia per la tenuta della linea austro-ungarica.
Presidiare le posizioni della testa di ponte di
Plava era un pericolo costante;
gli uomini erano alla completa mercè degli austriaci che la dominavano:
un vero e proprio stillicidio quotidiano che costava
perdite altissime ai reparti ivi stanziati.
Nel corso di tutto il 1915 furono reiterati i
tentativi italiani di impossessarsi della linea del Kuk, sempre respinti dagli austriaci con grande dispendio di forze.
Con la sesta
battaglia dell'Isonzo nell'agosto 1916, con la caduta del monte Sabotino, la situazione a Plava cambiò, portando la linea italiana anche a sud di Plava a ridosso del
fiume.
L'area della testa di ponte tornò prepotentemente
nell'occhio del ciclone con la decima battaglia dell'Isonzo.
La conquista della città di Gorizia si era rivelata una trappola per il Regio Esercito:
la piana della città era un vero e proprio vicolo cieco: le posizioni ad est della città, il monte San Gabriele e i suoi contrafforti, nonchè il monte San Marco e l'area paludosa della Vertojba, rimasero in mani austriache per il resto della guerra.
Per cercare di scardinare queste posizioni e
ricadere sul fianco nord delle linee austriache sul Carso, gli alti comandi italiani progettarono una manovra avvolgente che mirava alla conquista dell'altopiano della Bainsizza, a nord di
Gorizia.
Per sfociare sulla Bainsizza si rendeva necessaria
la conquista della dorsale Kuk-Vodice-Santo, a picco su Plava.
La decima battaglia del maggio 1917, nella sua prima fase, quindi si sviluppò interamente in quest'area. Progressivamente le truppe italiane riuscirono a risalire la china dei monti a picco su Plava: il Kuk e il Vodice caddero in sequenza, permettendo l'affaccio sull'altopiano della Bainsizza.
Il monte Santo rimase in mani austriache: cadrà solo con l'undicesima battaglia dell'Isonzo, la battaglia della Bainsizza, nell'agosto 1917.
FOTO CITTA' DI PLAVA ( SLOVENIA )
QUOTA 383
Quota 383, in seguito denominata Poggio Montanari ora monte Pricinz, è una altura presso la località di Plava oggi in Slovenia, durante la prima guerra mondiale nel tentativo di occuparla si scontrarono per due anni l'esercito italiano e quello austro-ungarico;
lo scontro più sanguinoso si verificò il 17 giugno del 1915 quando il generale Luigi Cadorna, volle offrire al Re Vittorio Emanuele III una conquista cui assistere direttamente, questa "dimostrazione" causò la morte di oltre 8000 uomini che furono trucidati in un attacco frontale contro le mitragliatrici austriache.
La notte dell'11 giugno 1915 l’artiglieria italiana cominciò un pesante bombardamento del territorio della borgata di Plava; protette da questo sbarramento riuscirono a guadare l’Isonzo 6 compagnie della 3ª Divisione di fanteria che diedero subito l’assalto a quota 383, difesa dalla I Brigata da montagna della 18ª Divisione di fanteria austroungarica, composta da dalmati e comandata da Guido Novak von Arienti, che riuscì a respingere l’assalto con un contro assalto.
Il giorno 12 gli italiani provarono nuovamente con due battaglioni a forzare la resistenza austriaca;
i soldati arrivarono indisturbati fino alle pendici del monte e mentre forzavano i primi reticolati vennero sorpresi su terreno aperto dalle mitragliatrici che li costrinsero ad una precipitosa ritirata verso il fiume.
Giunti sulle rive dell’Isonzo i soldati italiani si trovarono sorpresi da un treno blindato fatto arrivare da Gorizia, che li prese di mira coi suoi cannoni e mitragliatrici; sotto questo fuoco incrociato i reparti italiani lasciarono a terra oltre un migliaio di morti.
Il generale Cadorna in occasione di un'ispezione alle prime linee del re d'Italia Vittorio Emanuele III decise di offrirgli lo spettacolo della conquista di quota 383, fece sistemare un osservatorio sul monte Korada a quota 800, il 17 giugno fece trasferire oltre l’Isonzo 6 reggimenti di veterani delle brigate “Ravenna” e “Forlì” e della brigata dei corpi speciali “La Spezia”.
«Prenderemo questa altura a qualunque costo» aveva promesso Cadorna a Vittorio Emanuele mandando gli uomini all’assalto su di un terreno completamente esposto e in salita contro i nidi di mitragliatrice austriaci;
migliaia di soldati italiani trovarono la morte in assalti senza sosta.
Durante lo scontro, dopo aver perso completamente 4 dei 6 reggimenti Cadorna decise d'interrompere l’assalto costringendo i superstiti, come punizione per il fallimento, a realizzare a 300 metri dalle linee austriache, sotto il fuoco del nemico, una linea avanzata.
La lotta per la conquista di quota 383 e dei territori circostanti riprese nei mesi successivi, ma l’esercito italiano riuscì ad occuparli solo in seguito alla decima battaglia dell'Isonzo.
ARMA : ARTIGLIERIA
COMPAGNIA - BATTAGLIONE - SQUADRONE : 2ˆ BATTERIA
Quota 383 di Plava / Quota Generale Montanari / Collina della Morte
Targhetta presente sull'architrave di una caverna che fungeva da ricovero o da deposito per munizioni di artiglieria, probabilmente di bombarde o di cannoni da campagna di piccolo calibro, schierate in prossimità della prima linea di resistenza italiana.
L'iscrizione della targa non permette di trarre ulteriori conclusioni, mentre non si può escludere che la dizione "batt" non si riferisca ad un "secondo battaglione" di fanteria (invece che alla seconda batteria d'artiglieria).